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24 maggio 2019

da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia

Felice Casorati - Nudo nel paesaggio, Olio su tela, 1951 ca
da “Gli indifferenti” – Alberto Moravia

Non pensava a nulla; le azioni inconsuete che compiva la assorbivano completamente, le davano uno stupore trasognato. Quel che soprattutto l'impressionava era di non essere a casa sua, di trovarsi a quell'ora in quella stanza; si tolse il vestito lacerato, lo depose sopra la bassa poltrona che stava a piè del letto; le calze e contemplò un istante le sue gambe nude; la sottoveste, le mutande; esitò; aveva da togliersi anche la camicia? Ci pensò; sì, certo, era necessario; se la sfilò e la buttò sugli altri panni. Non si sentì nuda che sotto le lenzuola fredde, dove si rannicchiò tutta contro la parete, con una mano tra le gambe e una sul petto: il pigiama dalle grosse righe, che faceva pensare ad un'uniforme criminale, l'aveva buttato in terra; le era venuto in mente che la madre aveva potuto indossarlo.
A poco a poco il suo corpo ardente riscaldava le lenzuola. Ad un tratto ebbe l'impressione che questo tepore avesse sciolto quel nodo di paura e di stupore che fino allora le aveva ingombrato l'anima; si sentì sola, provò una gran tenerezza, una pietà indulgente per se stessa, si sforzò di raccogliersi, di raggomitolarsi più che poteva, fino a toccare con le labbra le sue ginocchia rotonde. L'odore sano e sensuale che emanavano la commosse; le baciò più volte appassionatamente:
" Povera... poverina..." si ripeteva accarezzandosi. Gli occhi le si empirono di lacrime; avrebbe voluto piegar la testa sul suo petto florido e piangervi come su quello di una madre; poi senza cessare di fissare con gli occhi attenti quella parete appena illuminata dalla lampada, ascoltò: i rumori che le arrivavano erano familiari e rivelavano irreparabilmente il luogo dove stava: la pioggia cadeva ancora, se ne udiva il fruscio; qualcheduno camminava nel bagno; dell'acqua scorreva; se si muoveva, il letto mollemente sprofondava, con un suono sordo, e in un certo modo lontano, non sapeva se per qualche ricordo o per la estrema cedevolezza delle piume. Non era il letto di casa sua, duro e stretto, né uno di quei letti stranieri nei quali ci si caccia dopo un lungo viaggio, e ci par subito di stare troppo in basso o troppo in alto, e ci si dorme senza soddisfazione; no; questo era un letto comodo, tenerissimo, pieno di attenzioni e di premure; soltanto il corpo ne aveva paura, vi si rannicchiava tutto, vi tremava, e ogni tanto tendeva una mano esitante a tastare lo spazio immenso e freddo che avanzava dietro, quella Siberia di tela, disabitata e ostile; era una sensazione sgradevole: come camminare per una strada buia sapendo di avere qualcheduno alle spalle.

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