Pagine

27 maggio 2019

Jacques Darras - Peter Paul Rubens mentre dialoga con Helena Fourment, sua moglie, nuda sotto una pelliccia nera

Peter Paul Rubens - Hélène Fourmente esce dal bagno (La piccola pelliccia), 1638, olio su tela, cm 176x83, Kunsthistorisches Museum, Vienna 
Jacques Darras - Peter Paul Rubens mentre dialoga con Helena Fourment, sua moglie, nuda sotto una pelliccia nera

La bellezza parla con una voce di donna.
Si chiama la bellezza, bellezza è femminile.
Coloro che fanno parlare la bellezza si chiamano i pittori.
Chiedono a una donna di rimanere in piedi davanti a loro.
Resti in piedi, per favore, resti in piedi, non si muova.
La bellezza consente, la bellezza è consenziente, la bellezza non protesta.
Questo è importante, la bellezza è una donna che acconsente.
A che cosa acconsente?
A che la si guardi, al fatto che un uomo la guardi a lungo.
Un uomo, un modista un figurinista un sarto un fotografo un pittore.
Meglio di tutto la pittura nella fusione del tratto l’impasto.
Nella fusione del carboncino che il tessuto respinge, che il colore ricopre.
Una donna in attesa consensuale che un pittore la vesta la spogli.
Parlano insieme?
Dialogano non c’è dubbio.
Se anche scambiano soltanto tre parole con la voce, dialogano.
Che cosa si può fare d’altro con la bellezza se non dialogare con lei?
Prenderla tra le braccia come un uomo prende una donna, la bellezza smette.
La bellezza smette di essere la bellezza per divenire un desiderio realizzato.
Il desiderio di bellezza richiede la distanza, la giusta distanza.
La bellezza è un’immagine dipinta della bellezza.
Una donna è rimasta in piedi, seduta, allungata per delle ore.
Più sedute più pose.
Più giorni più settimane, torni a trovarmi domattina per favore.
E immaginiamo che il pittore magari qualche volta non abbia potuto o non abbia saputo resistere.
Che si sia avvicinato piano alla sua modella, posando le sue spazzole.
E immaginiamo che la modella abbia creduto a una correzione della sua posa.
E ci raffiguriamo il pittore mentre le prende delicatamente il braccio.
Piegarlo, dispiegare lentamente il braccio della modella della bellezza.
Poi col fiato corto mentre posa la mano palmo aperto sul seno della bellezza.
Posare il palmo aperto dita leggermente premute sul seno.
La modella, si è chiesta la bellezza, è una correzione della posa?
Sorpresa, la bellezza ha potuto credere a una nuova indicazione.
Poi, no, piano una volta, no due volte, riprendete la vostra posa di pittore.
Poi no, la bellezza non ha ceduto alla bellezza, d’un pollice d’un palmo.
Riprendete i vostri attrezzi da pittore la spazzola i pennelli, ha detto al pittore.
Quando la bellezza era davvero la bellezza che imprimeva la sua distanza al desiderio.
Sarà capitato sempre così, siamo davvero sicuri?
No, non del tutto, non ogni volta, ci saranno state delle eccezioni.
Qualche volta la bellezza non avrà resistito al suo stesso desiderio.
Qualche volta l’emozione della donna avrà avuto la meglio sulle distanze.
Qualche volta forse, ma dopo?
Dopo essersi rimessa in piedi, che cosa sarà accaduto?
La bellezza avrà verosimilmente ripreso la posa.
Avrà posto al pittore la domanda, andiamo avanti?
Lui, confuso felice vergognoso liberato di essere passato attraverso l’armatura di maglia del desiderio.
Lui che cosa fa in quella situazione, ha ancora il senso delle distanze, in lui?
Ha la tensione energica necessaria in lui per riprendere le proprie distanze?
Avverrà secondo i casi.
Ma nel caso probabile di un rispetto reciproco, il dialogo s’instaura.
Il dialogo della mano con la tela, la matita l’olio, l’occhio le forme.
S’instaura il dialogo tuttavia non si sente niente.
Niente non dice niente a niente, la matita è di un mutismo totale, traccia scrive.
Ed è tutta una potenza di dialoghi taciuti, di amorosi gesti mimati.
Tutta quella conversazione con parole convertite nel loro silenzioso contrario.
Quella lunga sospensione di parole trattenute nelle due bocche chiuse.
Una sottile e sorridente, come se sorridesse verso l’interno di sé.
L’altra tesa, labbra nervose per l’apprezzamento insoddisfatto.
Sì sarà questo ritegno della parola a vantaggio dei tratti che faranno scaturire la bellezza.
La bellezza è una donna che potrebbe parlare, una donna che sta per parlare.
Ma sss! che non deve che non può, che lo proibisce a se stessa.
La bellezza è una proibizione fatta dalla bellezza a se stessa.
È perché siamo censurati da lei, censurati dalla bellezza?
Censurati dalla bellezza, sospesi da, sospesi alla bellezza?
La bellezza è un atto d’amore dolorosamente amorosamente differito.
A questa condizione, a quest’unica condizione la bellezza parla.
La bellezza nella pittura parla, chetiamoci a nostra volta.
Ascoltiamola noi stessi parlare tutte le parole che serba in se medesima.
Poiché la pittura è come la parola in una conversazione sacra.
Poiché la parola è come il sacro della parola in una conversazione profana.
Guardate la donna dalla pelliccia di Peter Paul Rubens.
La bellezza fattasi donna nello sguardo del pittore di Anversa.
Non parliamo neppure di tutto ciò che Rubens qui dice prima di Rembrandt.
Tralasciamo questo, l’incarnazione profana della bellezza, lasciamola alla storia.
La storia della pittura la scriverà nei libri, la dirà nei microfoni.
Lasciamo gli altri parlare di questo, parlare di quello.
Un’altra conversazione avviene al di sotto, al di là, al di dentro.
Ascoltiamo Rubens, avrebbe detto il vecchio ambasciatore di Amsterdam, Paul Claudel.
Bisogna ascoltare la pittura con l’orecchio, l’occhio coalizzato con l’orecchio.
Ascoltiamo Peter Paul Rubens, lo sentite a bassa voce?
Egli parla, parla mentre dipinge, parla a bassa voce.
Chiama la sua modella, Helena sua moglie, Helena Fourment sua moglie.
Ha cinquantanove anni sessant’anni, ha circa quell’età, più o meno.
Ha soltanto due anni da vivere, non lo sa fino in fondo, lo sa.
Lo sa come un uomo di quell’epoca che ha riempito la sua vita.
Dipinge sua moglie contro l’orizzonte della morte, il limite.
La chiama a bassa voce, è la sua anima d’innamorato che parla suo malgrado.
Helena, Helena tu che hai diciotto anni venti anni o forse più, oh Helena!
Mi senti chiamarti come ti chiamerò quando non ci sarò più.
Domani tra poco non sentirai più la mia voce non ti sentirò più.
Non ci sarà più nessuna parola tra noi, sarò tra le nuvole del cielo.
Volerò salirò tra le ascensioni celesti che ho prefigurato.
Sarò molto lontano nell’azzurro nell’opacità dei vapori, chi può dirlo?
Ci sarà tanta gente lassù, non ho dipinto l’Inferno, ci sarà folla.
Non mi sentirai più parlare, il concerto degli angeli renderà oscura la mia voce.
Cantare, lo possiamo se amiamo l’indistinto della musica.
Ma la voce Helena, ma la tua voce la mia conversare tra noi, come?
Da quale bocca in quale lingua converseremo ancora?
Uccello mio carne mia mia nudità profana mi senti parlarti a bassa voce?
Mi senti parlarti attraverso la pelliccia di sabbia che stendo sulla tua schiena?
Lasciami stringerti avvilupparti fino alla fine in un tessuto di carezze.
Helena sei la figlia degli arazzi di Anversa, sei pelliccia sei fodera.
Nel nostro palazzo genovese di Anversa quando passeggerai, tendi l’orecchio.
Non sentirai la mia voce né in cielo né sulla terra né in alcuna riva dello Schelda.
Non ti chiamerò attraverso la foce del fiume che scorre dietro di noi.
Vieni alla tela, piuttosto, vieni al ritratto di te stessa la tua beltà impellicciata.
Het Pelsken, Het Pelsken, ricordati del giorno in cui posammo, tu e io.
Tu e io posammo ai due lati della tela, della parete dei colori della nostra pelle.
Ti ho creata l’Anversa di me, ti ho dipinta l’Anversa di te mia bellezza di Anversa.
Ti ho vestita nella nudità di Eva nostra madre, l’inverso dell’abito.
Guardandoti mio blu d’azzurro mia nuvolosa terrena mi sentirai mentre ti parlo.
Sentendomi parlarti mi vedrai carezzarti, mentre io ti dipingo con le mani.
La bellezza è il ricordo anticipato di tutti i gesti d’amore che celiamo
La bellezza è il vello nero di tutte le notti che avranno attraversato i nostri corpi.
La bellezza è l’inverso delle nostre pelli animali, delle nostre mucose mortali.
La bellezza, baciamo la parola con le sue labbra, farà silenzio.

Traduzione dal francese di Viviane Ciampi

da Museo poetico blog spot
 

Nessun commento:

Posta un commento