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29 giugno 2019

da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta

da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta
Il ragù

Ricordo don Ernesto Acampora, il commerciante don Ernesto Acampora, famoso nel rione Mercato e forse in tutta Napoli per i suoi eccelsi ragù. Ignorerà sempre che cosa sia un ragù d’autore chi non sedette una domenica al desco di don Ernesto. Due parole sull’uomo. Non aveva età e non aveva camicia; o almeno portava esclusivamente, sugli ondosi calzoni marinareschi, una maglietta di spago e uno scapolare dei santi Cosimo e Damiano, che oltre a contenere non so quale reliquia di questi patroni, gli serviva per riporvi residui di sigaretta; era commerciante nel senso che disponeva di un carrettino-bottega, adibito a ogni genere di merci o derrate, secondo il suo estro inesauribile e secondo le immutabili stagioni di Dio: oggi cocomeri o ulive o lupini o fichi d’India o pesce; domani aghi e nastri e rocchetti di filo e dozzinali specchietti e portafogli, quando non si trattava di piedi di porco bolliti o di trecce di zucchero filato o di castagne lesse; in mancanza di meglio don Ernesto Acampora, sempre servendosi del suo carrettino per installarvi gli attrezzi e il materiale indispensabili, affilava coltelli e riparava sedie e ombrelli. Questa sua allucinante attività gli conferiva una indubbia agiatezza e, suggerendogli di attardarsi nei più remoti vicoli della città, presso ogni portoncino o uscio di “basso”, lo esponeva a tentazioni amorose che non mancarono di creargli precisi doveri. Don Ernesto Acampora non volle mai saperne di sposarsi. Ebbe, in vario modo, sette figliuoli. Impartì a ciascuno il proprio cognome (con una sola eccezione per Pasqualino, che purtroppo dovette essere attribuito, per intuibili motivi, a un emigrato in America) e appena furono in grado di muovere i primi passi se li portò a casa, dove li allevò imparzialmente la vecchia Acampora. Costei era così vecchia che ogni anno, in Duomo, assisteva come parente di San Gennaro al prodigio della liquefazione del sangue. Ciò la autorizzava, fra l’altro, a insultare il santo; brutta faccia, faccia gialla – poteva dirgli e gli diceva – lo fai questo miracolo? Coi nipoti fu altrettanto perentoria e umana: «cuore mio», «assassino» gridava inseguendoli; se riusciva a ghermirli li baciava e li mordeva su tutto il corpo. Erano due maschi e cinque femmine, ormai grandicelli quando conobbi don Ernesto. S’era fatta una relativa pace, in lui; da anni rincasava senza ulteriori bambini. Ispido e grigio, sfacchinava come sempre; ma la domenica era il suo giorno, il giorno del riposo, della famiglia e del ragù.

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