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20 giugno 2019

da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta

da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta
I giocatori

In tal caso il bambino rimaneva lungamente seduto sulle toppe dei suoi calzoni, senza altri movimenti che quelli di un soffocato singhiozzo: le carte da gioco sparse sulle sue gambette incrociate, lo smunto volto precocemente saggio gli conferivano un aspetto bizzarro e allegorico, di triste idoletto. Poi il gatto bianco saltellava dal davanzale nella stanza e il suo grato colore asciugava le lacrime; un fruscio di vento faceva frusciare gli stinti parati che sempre più si staccavano dalle pareti; la voce di don Cosimo Criscuolo, che dall’androne chiamava il figlio,, saliva senza affrettarsi la scaletta, tutto era remoto e vago nel mondo del piccolo Antonio come se egli costeggiasse col passo dei sonnambuli quel tempo, invece di attraversarlo ridendo.
Non c’è altro. Questo non significa nemmeno raccontare, io sempre più ne convengo. Ve lo lascio così il piccolo Antonio, cosparso di logore carte da gioco e mentre il solerte colore di un gatto gli asciuga le lacrime. Ciascuno ne faccia ciò che vuole, tenendo presente che la via dei Tribunali è stretta, buia, sporca e sonora come il cavo di un vecchio mandolino: tutto vi diventa patetico se ci si lascia prendere.

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