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26 giugno 2019

da Marcovaldo – Italo Calvino

Il gatto Pavel
da Marcovaldo – Italo Calvino
Autunno
19 II giardino dei gatti ostinati

Nel mezzo della sala, proprio sotto quel finestrino, c'era una piccola peschiera di vetro, una specie d'acquario, in cui nuotavano delle grosse trote. S'avvicinò un cliente di riguardo, con un cranio calvo e lucido, nerovestito e con la barba nera. Lo seguiva un vecchio cameriere in frac che teneva in mano una reticella come se andasse per farfalle. Il signore in nero guardò le trote con aria grave e attenta; poi alzò una mano e con un lento gesto solenne ne indicò una. Il cameriere immerse la reticella nella peschiera, inseguì la trota designata, la catturò, si diresse alle cucine, reggendo davanti a sé come una lancia la rete in cui si dibatteva il pesce. Il signore in nero, grave come un magistrato che ha comminato una sentenza capitale, andò a sedersi, in attesa del ritorno della trota, fritta «alla! mugnaia».
«Se trovo il modo di gettare una lenza di quassù] e far abboccare una di queste trote, – pensò Marcovaldo, – non potrò essere accusato di furto, ma tutt'al più di pesca non autorizzata». E, senza dar retta ai miagolii che lo chiamavano dalla parte della cucina, andò a cercare i suoi arnesi di pesca.
Nessuno nel salone affollato del Biarritz vide il sottile lungo filo, armato d'amo e d'esca, calare giù giù fin dentro alla peschiera. L'esca la videro i pesci, e si gettarono. Nella mischia una trota riuscì a mordere il verme: e subito prese a salire, a salire, uscì dall'acqua, guizzando argentea, volò in alto, sopra le tavole imbandite e i carrelli degli antipasti, sopra la fiamma azzurra dei fornelli per le «crépes Suzette», e sparì nel cielo del finestrino.
Marcovaldo aveva tirato la canna con lo scatto e l'energia del provetto pescatore, tanto da
far finire il pesce alle sue spalle. La trota aveva appena toccato terra quando il gatto si slanciò. Quel poco di vita che le restava la perse tra i denti del soriano. Marcovaldo, che in quel momento aveva abbandonato la lenza per correre ad acchiappare il pesce, se lo vide portar via di sotto il naso, con l'amo e tutto. Fu lesto a mettere un piede sulla canna, ma lo strappo era stato così forte che all'uomo restò solo la canna, mentre il soriano scappava col pesce che si tirava dietro il filo della lenza. Traditore d'un micio! Era sparito.
Ma stavolta non gli scappava: c'era quel lungo filo che lo seguiva e indicava la via che aveva preso. Pur avendo perso di vista il gatto, Marcovaldo inseguiva l'estremità del filo: ecco che scorreva su per un muro, scavalcava un poggiolo, serpeggiava per un portone, veniva inghiottito in uno scantinato... Marcovaldo, inoltrandosi in luoghi sempre più! gatteschi, arrampicandosi su tettoie, scavalcando ringhiere, riusciva sempre a cogliere con lo sguardo – magari un secondo prima che sparisse – quella mobile traccia che gli indicava il cammino preso dal ladro.

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