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23 giugno 2019

da Spaghetti all'assassina - Gabriella Genisi

da Spaghetti all'assassina - Gabriella Genisi

«Espò, quell’Antonio è uscito pazzo.»
«No commissà, gli piacciono assai le puntate di Masterchef.»
«Sarebbe Masterscè?»
Il mio attendente mi guarda attonito.
«’O vèr, commissà? Non avete visto mai ’na puntata di Masterchef? No, non è possibile. Voi scherzate, vi prendete gioco di me. Ma se tutta l’Italia si ferma il giovedì sera, com’è che voi non ne sapete niente?»
Come dirgli che non sto scherzando affatto e che oggi è già la terza volta che mi sento un pesce fuor d’acqua? Ma la colpa lo so io di chi è, di Giovannimio, perché troppo mi sono dedicata a lui in questi anni, troppo mi sono impegnata ad amarlo trascurando tutto e tutti. Con quale risultato? Scavalcata dai miei sottoposti perfino in cucina. Ad ogni modo, anche se gli spaghetti ùscano da morire ce ne spazzoliamo quasi mezzo chilo in tre. Perché stavolta Forte tiene ragione. La ricetta può servire a capire molte cose. Ed è talmente buona che quasi quasi impacchetto l’avanzo e me lo porto a casa per stasera.
Tornata nel mio ufficio do un’occhiata ai rilievi e chiamo Marietta. La mia intenzione è di parlare dell’omicidio invece capisco subito che lei ha equivocato il senso della telefonata e va sul personale, cominciando a parlare di Nicola e dei giorni di ritardo delle sue cose. Da amica comprendo la preoccupazione ma qui stiamo lavorando. Taglio corto e chiudo la conversazione per procedere con tutto il resto della lista delle persone informate sui fatti che bisogna convocare nelle prossime ore. Camerieri, cuochi, addetti alle cucine. Tutta la squadra di lavoro presente la sera precedente l’omicidio, che si presume avvenuto alle prime luci dell’alba.
Dodici persone in tutto, molte delle quali straniere. Leggo i profili che Esposito mi passa uno per volta e mi appunto tre o quattro soggetti interessanti.
Geppino Schirone, 67 anni, capocameriere in servizio dall’apertura del locale.
Giovanna Lafronza, 56 anni, cuoca.
Benallal Matou, algerino, 35 anni, chef.
Fanny Oliveira, brasiliana, 25 anni, un passato da entraîneuse spogliarellista, adesso guardarobiera.
Il Policlinico barese è una specie di paradigma della città. L’eccellenza di alcuni reparti mescolata ai parcheggiatori abusivi. I luminari famosi in tutto il mondo accanto ai portantini con la panza di fuori e la bottiglia della birra Peroni in mano. Famiglie intere che bivaccano al pronto soccorso perché la nonna ha mal di denti, e il custode all’ingresso che senza tesserino non vuole farmi passare. E se insiste, oggi lo faccio sospendere.
L’obitorio dell’Istituto di Medicina legale continua a mettermi addosso la stessa tensione di quando venni la prima volta, con l’odore dell’acido fenico mischiato a quello della morte, ma poi mi basta vedere il sorriso del professor Introna per farmela passare.
«Lolitabella, eccoci. Ho appena completato un primo esame sommario.»
«Dimmi qualcosa Prof. Questo omicidio mi fa sentire sulla graticola.»
«Come san Lorenzo?»
«Per l’appunto.»
«Allora cominciamo dall’inizio, perché temo che un particolare possa esserti sfuggito. E non è cosa da poco. Nel senso che il dettaglio di cui sto per dirti può cambiare completamente le ipotesi su cui stai lavorando.»
«Ecco a dire la verità di quello su cui ho lavorato fino ad ora vorrei parlarti in seguito. E non è granché. Anzi forse ti metti a ridere. Ma parla tu adesso, sono abbastanza sulle spine.»
«Dalle foto scattate sulla scena del delitto è evidente una gran quantità di sangue. L’incaprettamento invece è un omicidio – come dire – bianco, cioè il cadavere di norma non presenta tracce ematiche. Ma a un non addetto ai lavori certe modalità possono sfuggire.»

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