Pagine

16 giugno 2019

Il processo - Franz Kafka

Il processo - Franz Kafka

Per imbarazzo o impazienza, il giudice istruttore si dondolava sulla poltrona. L'uomo che gli stava dietro, con cui già prima aveva parlato, tornò a chinarsi su di lui, vuoi per fargli in qualche modo coraggio, vuoi per dargli un consiglio preciso. Sotto, la gente discuteva sottovoce, ma animatamente. I due partiti, che prima sembravano avere opinioni opposte, si mescolarono, alcuni segnavano a dito K., altri il giudice istruttore. La cortina di fumo era estremamente fastidiosa, impediva persino di distinguere con chiarezza quelli che stavano più lontano. Doveva disturbare soprattutto gli occupanti della galleria, che si vedevano costretti, seppure lanciando timide occhiate di traverso al giudice, a fare sottovoce domande ai partecipanti all'assemblea per seguire meglio gli avvenimenti. Altrettanto sottovoce, le mani davanti alla bocca, venivano date le risposte.
«Ho subito finito», disse K., battendo il pugno sul tavolo, visto che non c'era campanello. Per lo spavento, le teste del giudice e del suo consigliere si separarono all'istante: «Tutta questa faccenda mi tocca poco, perciò posso valutarla con calma e, supposto che a voi importi qualcosa di questo presunto tribunale, potete trarne grande vantaggio ascoltandomi. Le discussioni intorno a quello che dirò rimandatele, vi prego, a più tardi, perché non ho tempo e me ne andrò via presto».
Si fece subito silenzio, prova di quanto K. dominasse già l'assemblea. Non ci furono più grida confuse come all'inizio, non applaudivano nemmeno più, sembravano anzi già convinti o vicinissimi a esserlo.
«Non c'è dubbio», disse K. a voce molto bassa, poiché l'attenzione tesa dell'intera assemblea gli dava piacere, quel silenzio era attraversato da un ronzio più eccitante del plauso più entusiasta, «non c'è dubbio che dietro tutte le manifestazioni di questo tribunale, nel caso mio quindi dietro l'arresto e l'udienza odierna, stia una grossa organizzazione. Un'organizzazione che non solo dà lavoro a guardie corruttibili, ispettori ridicoli e giudici istruttori, nel migliore dei casi, modesti, ma mantiene anche magistrati di alto e altissimo grado, con l'innumerevole, inevitabile seguito di uscieri, scrivani, gendarmi e altri avventizi, magari persino carnefici, non temo di pronunciare la parola. E il senso di questa grande organizzazione, signori? Consiste nel fare arrestare degli innocenti e istruire a loro carico un procedimento assurdo e per lo più, come nel caso mio, infruttuoso. Come si potrebbe evitare, nell'assurdità del tutto, la più abietta corruzione dei funzionari? Non è possibile, non riuscirebbe a sottrarvisi nemmeno il più alto dei giudici. Ecco perché le guardie cercano di rubare gli abiti di dosso agli arrestati, ecco perché gli ispettori irrompono nelle case altrui, ecco perché degli innocenti, invece di essere interrogati, vengono umiliati di fronte a intere assemblee. Le guardie hanno parlato solo di depositi dove si portano gli oggetti di proprietà degli arrestati, vorrei vederli una volta questi magazzini, dove i beni degli arrestati, frutto del loro faticoso lavoro, marciscono, se non vengono prima rubati da impiegati ladri».
K. venne interrotto da strilli provenienti dal fondo della sala, si schermò gli occhi per riuscire a vedere, perché la luce torbida del giorno rendeva biancastra e abbagliante l'atmosfera fumosa. Si trattava della lavandaia, K. aveva capito fin dal suo ingresso che avrebbe seriamente disturbato. Se ora ne avesse colpa o no, non si poteva stabilire. K. vide soltanto che un uomo l'aveva attirata in un angolo vicino alla porta e la stringeva a sé. Ma non era lei che strillava, era l'uomo, aveva la bocca spalancata e guardava il soffitto. Intorno ai due si era formata una piccola cerchia, il pubblico della galleria vicino a loro parve entusiasta che il clima di serietà instaurato da K. nell'assemblea venisse rotto in questo modo. Il primo impulso di K. fu di precipitarsi là, pensando anche che a tutti premesse ristabilire l'ordine laggiù e per lo meno scacciare la coppia dalla sala, ma le prime file davanti a lui rimasero dov'erano, nessuno si mosse, e nessuno lasciò passare K. Addirittura glielo impedirono, dei vecchi gli opposero il braccio, e una mano - non ebbe il tempo di voltarsi - lo afferrò dietro per il colletto. Alla coppia K. non pensò più, fu come se venisse limitata la sua libertà, come se si facesse sul serio con l'arresto, e d'impulso saltò giù dalla pedana. Si trovò a faccia a faccia con la folla. L'aveva giudicata bene quella gente? Aveva confidato troppo nell'effetto del suo discorso? Avevano finto per tutto il tempo che lui aveva parlato, e adesso che era giunto alle conclusioni ne avevano abbastanza di fingere? Che facce intorno a lui! Occhi piccoli e neri guizzavano qua e là, le guance cascavano come quelle degli ubriachi, le lunghe barbe erano rigide e rade, e quando le si afferrava, era come se si formasse semplicemente un artiglio con la mano e non come se si afferrasse una barba. Ma sotto le barbe - e questa fu la vera scoperta di K. - ai baveri delle giacche luccicavano distintivi di ogni misura e colore. Per quanto si poteva vedere, tutti avevano questi distintivi. Tutti erano della stessa banda, gli apparenti partiti di destra e di sinistra, e quando K. si voltò di scatto, vide gli stessi distintivi al bavero del giudice istruttore, che, le mani in grembo, guardava giù tranquillo. «È così», esclamò K. levando in alto le braccia, la scoperta improvvisa aveva bisogno di spazio, «a quanto vedo siete tutti impiegati, siete la banda corrotta di cui parlavo, vi siete accalcati qui ad ascoltare e ficcare il naso, avete formato dei finti partiti, uno dei quali mi ha applaudito per mettermi alla prova, volevate imparare come si seducono degli innocenti! Bene, non siete venuti qui inutilmente, spero: o vi siete divertiti nel vedere che qualcuno si è aspettato da voi la difesa dell'innocenza, oppure», -«lasciami o picchio», gridò K. a un vecchio tremante che gli si era spinto troppo addosso -«oppure avete imparato davvero qualcosa. E con ciò vi auguro buona fortuna nel vostro mestiere». Afferrò in fretta il cappello che stava sul bordo del tavolo e, nel silenzio generale, il silenzio della più totale sorpresa, si fece largo verso l'uscita. Il giudice istruttore parve essere stato più veloce di K., perché lo aspettava sulla porta. «Un momento», disse. K. si fermò, guardando però non il giudice ma la porta, di cui aveva già afferrato la maniglia. «Volevo solo farle osservare», disse il giudice, «che lei oggi - forse non se ne è ancora reso conto - si è privato del vantaggio che un interrogatorio comunque significa per l'arrestato». K. rise, volto verso la porta. «Farabutti», gridò, «ve li regalo i vostri interrogatori», aprì la porta e corse giù per le scale. Dietro di lui si levò il rumore dell'assemblea che si era rianimata e si accingeva forse a discutere i fatti, come fanno gli studenti.

Nessun commento:

Posta un commento