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28 giugno 2019

Mi fa pena il giardino - Forough Farrokhzad

Joan Mirò - le tracce del carro (1918)
Mi fa pena il giardino - Forough Farrokhzad

Nessuno pensa ai fiori
nessuno pensa ai pesci
nessuno vuole credere
che il giardino sta morendo,
che s’infiamma il cuore del giardino
sotto il sole
che piano piano si svuota
la memoria del giardino dei suoi verdi ricordi,
e i sensi del giardino
paiono ormai una cosa spoglia
consumata nel giardino solitario.
Solo è il cortile di casa nostra
il cortile di casa nostra
adesso sbadiglia
in attesa che piova da una nuvola
sconosciuta,
vuota è la vasca nel giardino di casa nostra.
Le minute stelle inesperte
crollano al suolo dalla cima degli alberi,
e a notte, dalle finestre pallide della casa dei pesci,
risuonano colpi di tosse.
Solo è il cortile di casa nostra.

Papà dice che
è tardi, è troppo tardi,
è troppo tardi per me,
gravato del mio carico
ho fatto quel che potevo.
E nella sua stanza, da mattina a sera,
legge il Libro dei Re, o il Compendio delle Storie.
Papà dice a mia madre
maledetti pesci e uccelli, cosa importa?
Quando morirò che differenza fa
che il giardino resti ancora lì
o sparisca,
mi basta la mia pensione.

Per tutta la vita mia madre
è stata tappeto di preghiera
srotolato sulle spaventose bocche
dell’inferno,
mia madre, sempre mia madre,
nel fondo di ogni cosa
cerca i passi del peccato,
è crede che il giardino sia macchiato
dalla miscredenza di una pianta.
Mia madre prega tutto il giorno,
mia madre peccatrice per sua natura
soffia benedizioni su ogni fiore
e soffia su tutti i pesci
e soffia
su se stessa.
Aspetta mia madre, l’avvento dell’Imam
Nascosto
e la grazia che calerà sulla terra.

Sepolcro, così chiama mio fratello
il giardino.
Mio fratello ride degli steli avviluppati
e discordi delle erbe,
e conta le spoglie dei pesci
che sotto il pelo malsano dell’acqua
si disfano in grani corrotti.
Mio fratello s’ammala di filosofia
e non vede altra cura per il giardino
che la sua distruzione.
Si ubriaca
e sfonda porte e pareti
a pugni stretti,
e cerca di dire quanto stanco e troppo
e triste e disperato,
e porta in strada e al mercato
il suo sconforto come la carta d’identità
l’agenda, e il fazzoletto, l’accendino, la sua penna.
Il suo sconforto
è così minuto che ogni notte
si perde tra la folla nelle taverne.

E mia sorella, che era amica dei fiori,
e che quando mia madre la picchiava
raccoglieva per quei fiori gentili e silenziosi
le parole più pure del suo cuore,
ogni tanto invitava con i dolci la famiglia dei pesci
a una festa verso il sole.
Oggi vive mia sorella all’altro capo della città
nella sua casa falsa
con falsi pesci rossi
raccolta nell’amore del suo marito falso
sotto i rami di falsi meli,
e canta false canzoni,
e mette al mondo figli veri
mia sorella
ogni volta che viene a trovarci
e sporca i lembi della sua gonna
con la miseria del giardino
si bagna nell’acqua di colonia,
mia sorella è gravida,
ogni volta che viene a trovarci.

Solo è il cortile di casa nostra
Solo è il cortile di casa nostra,
tutto il giorno dalla porta giunge il suono
di qualcosa che lenta si fa a pezzi
ed esplode,
i nostri vicini non seminano fiori nei loro giardini
granate e mitraglie essi piantano,
i nostri vicini ricoprono le vasche azzurre
dei loro orti
e senza volerlo
ricolmano di polvere da sparo le vasche loro
azzurre.
E i bambini della nostra via riempiono le loro borse
con piccole bombe.
Turbato è il cortile di casa nostra.

Mi fa paura il tempo
che disperde il suo cuore.
Ho paura del vuoto inutile di tutte queste mani,
ho paura dell’immagine estranea di tutte queste facce.
Sono sola, io
come l’allievo che ama follemente
la sua lezione di geometria
e penso che si può condurre il giardino all’ospedale
e penso
e poi penso
e penso…
e s’infiamma il cuore del giardino
sotto il sole
e piano piano si svuota
la memoria del giardino
dei suoi verdi ricordi.

trad. Domenico Ingenito

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