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17 giugno 2019

Ragazzi di vita - Pier Paolo Pasolini

Ragazzi di vita - Pier Paolo Pasolini

Il Riccetto invece se ne stava indietro con gli occhi storti. Come furono all’imbocco di Tiburtino III disse: – Ve saluto, a moretti, io speso. – Addò vai? – fece il Ca-ciotta fermandosi. Pure Amerigo s’era fermato e guardava di traverso con le mani mezze infilate in saccoccia. – A dormí, li mortacci tua. Tengo un zonno che si fo’ ancora du passi spiro!Amerigo gli si avvicinò, guardandolo con gli occhi che parevano insanguinati, come ridendo; rideva per la ragione che non era possibile fare qualche cosa contro quello che lui decideva.– A moro, – disse a voce bassa e ancora calma, per-suasiva, – già te ’ho detto, si è che venghi co’ me, poi me devi da ringrazzià... Tu me nun me conosci... – Il Ca-ciotta che lo conosceva guardava divertito, da una parte.Tanto sapeva che il Riccetto sarebbe andato con loro da questo Fileni.– Tengo sonno te sto a ddí, – fece il Riccetto.
– Ma quale sonno, quale sonno, – fece Amerigo, ri-dendo sotto la fronte tutta corrugata, allegro sempre per quel pensiero che era assurdo non seguire i suoi consi-gli, – e nnamo! – Si mise una mano sul cuore: – Er Ca-ciotta qqua te ’o può ddí, ve’ Caciò? Io sso uno che nissuno puo ddí niente de me, e si fo una promessa, amorè, stacce, che tutto ha d’annà come che dico io...Pecché? ’N semo tutti amichi, qqua? Io te fo un favore,per modo de ddí, e n’antra vorta tu ’o ffai a me, che, ’unse dovemo da dà na mano uno co l’artro? – S’era fatto solenne: a non stare con lui c’era da far capire che s’erabalordi; ma al Riccetto gli rodeva quell’affare lì tra Amerigo e il Caciotta, che gli pareva da naso. Il Caciotta guardava con una strana aria: «Fa un po’ come te pare, –pareva che dicesse, – io nun me impiccio». Il Riccettoalzò le spalle. – E chi te sta a ddí niente? – disse a Ame-rigo, – c’hai raggione te: andatece te cor Caciotta in sto posto, che, c’avete bisogno de me c’avete? – Ma Amerigo non sapeva chi dei due tenesse in saccoccia la grana. Guardò il Riccetto con aria paziente e molto seria. Gli sifece sotto fino a mescolare il suo fiato che sapeva di vino con quello del Riccetto. Ma in quel momento si disegna-rono due ombre, ben conosciute, contro l’ombra giallo-gnola dei primi lotti di Tiburtino, che venivano giù ver-so la fontanella dove s’erano fermati.– Li carubba, – fece il Caciotta. – Me conosciono, – continuò, – so’ quelli che me volevano carcerà ’artra sera ar cinema de Tibburtino !Amerigo li guardò venire avanti, coi suoi occhi malati;si mise una mano sulla faccia, e si strinse la fronte tra le dita. Era bianco come uno straccio e con la bocca faceva una smorfia come se stesse per piangere. Quando le due ombre con la bandoliera a tracolla furono un po’ più in là, verso la borgata, si passò un’ultima volta la mano sul-la fronte. – Ahi oddio, quanto me dole, – disse, – è come un chiodo che me passa ’a testa da parte a parte –. Ma già gli era passato.
Si riaccostò al Riccetto, e gli mise amichevolmente una mano sulla spalla. – A Riccè, – disse, – come te chia-mi, nun sta a ffà er balordo, si vvenghi pure tte è mejo –.Riprese l’aria espansiva e oratoria: – Parola, – disse, – ch’i fussi er peggio fijo de na mignotta, si dopo ’un mevenghi a ddí: a Amerigo, te devo ringrazzià e te fo pure le mi scuse –. La sua mano pesava sulla spalla del Riccetto come una còfana. Andarono in giù per il corso di Tiburtino, dove solo ai due bar c’era un filo di luce, e in mezzo ai lotti a un piano scrostati e sporchi, con qualche panno appeso alle finestre, si sentiva ancora ronzare una ghitarra. Svoltaro-no giù per il mercato coperto, unto e verdognolo di pe-sce, tagliarono per due o tre delle strade tutte uguali che dividevano i lotti, e arrivarono a una delle case con da-vanti una loggia in stile novecento, acciaccata e cadente. Andarono su per una scaletta, poi per un ballatoio di pietra che dava sulla strada parallela, e bussarono a una porticina, già schiusa e da dove usciva un po’ di luce. Una mano dal di dentro aprì e essi si trovarono in una cucina piena di gente silenziosa raggruppata intorno alla tavola. Sei o sette giocavarlo a zecchinetta; gli altri, stret-ti contro le pareti o il secchiaio pieno di piatti ancora sporchi, stavano a guardare.

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