Sono ancora lontano dall’essere patriarca,
ho ancora un’età solo a mezzo ossequiata,
ancora c’è chi mi insulta sul muso
nel linguaggio degli alterchi sui tram
in cui non c’è senso né coda:
“Pezzo di…” – d’accordo, chiedo scusa,
ma dentro non mi sposto di un centimetro…
Quando pensi cosa ti lega al mondo
stenti a crederci: un niente,
la chiave notturna d’una casa altrui,
un soldino d’argento in tasca,
la furtiva celluloide di un film…
Come un cagnolino mi getto sul telefono
ad ogni squillo isterico
per sentire il polacco “Dzenkie, pane”,
il tenero rimprovero di una città lontana
o una promessa non mantenuta.
Continui a sperare: a cosa prender gusto
in mezzo a razzi e petardi?
Ti infiammi – e là, guarda, non resta
che baraonda e disoccupazione:
coraggio, va’ a chiedergli del fuoco!
Ora sorrido, ora mi do un contegno
e vado a passeggio col mio bastone biondo.
Ascolto le sonate nei vicoli,
mi lecco i baffi ad ogni bancarella,
sfoglio libri in androni fatiscenti
-non vivo, ma in qualche modo tiro avanti.
Andrò dai passeri, andrò dai reporters,
andrò dai fotografi ambulanti,
e in cinque minuti, come un colpo di cazzuola,
avrò la mia figura
sotto il cono violaceo del monte Sach.
Oppure mi farò assumere tra i galoppini
nelle cantine afose, ammollite dal vapore,
dove puliti e onesti cinesini
acchiappano con le bacchette pallottole di pasta,
giocano con strette carte filettate
e devono vodka, rondini dello Jan-Tse.
Amo le corse dei tram cinguettanti
e il caviale astrachano dell’asfalto,
rivestito di stuoie di paglia
come i fiaschi di vino d’Asti,
e le piume di struzzo delle armature nei cantieri
delle case di Lenin.
Entro nei meravigliosi teatrini dei musei
dove Rembrandt scheletrici si gonfiano
fino alla lucentezza della pelle di Cordova;
ammiro le mitre cornute di Tiziano
e lo screziato Tintoretto ammiro
per i suoi mille pappagalli striduli…
E quanta voglia ho di lasciarmi andare,
di fare un po’di chiacchiere, di dire la verità,
di mandare lo spleen alla nebbia, al diavolo, alla forca,
di prendere qualcuno per mano e: Sii gentile,
dirgli, visto che andiamo per la stessa strada…
ho ancora un’età solo a mezzo ossequiata,
ancora c’è chi mi insulta sul muso
nel linguaggio degli alterchi sui tram
in cui non c’è senso né coda:
“Pezzo di…” – d’accordo, chiedo scusa,
ma dentro non mi sposto di un centimetro…
Quando pensi cosa ti lega al mondo
stenti a crederci: un niente,
la chiave notturna d’una casa altrui,
un soldino d’argento in tasca,
la furtiva celluloide di un film…
Come un cagnolino mi getto sul telefono
ad ogni squillo isterico
per sentire il polacco “Dzenkie, pane”,
il tenero rimprovero di una città lontana
o una promessa non mantenuta.
Continui a sperare: a cosa prender gusto
in mezzo a razzi e petardi?
Ti infiammi – e là, guarda, non resta
che baraonda e disoccupazione:
coraggio, va’ a chiedergli del fuoco!
Ora sorrido, ora mi do un contegno
e vado a passeggio col mio bastone biondo.
Ascolto le sonate nei vicoli,
mi lecco i baffi ad ogni bancarella,
sfoglio libri in androni fatiscenti
-non vivo, ma in qualche modo tiro avanti.
Andrò dai passeri, andrò dai reporters,
andrò dai fotografi ambulanti,
e in cinque minuti, come un colpo di cazzuola,
avrò la mia figura
sotto il cono violaceo del monte Sach.
Oppure mi farò assumere tra i galoppini
nelle cantine afose, ammollite dal vapore,
dove puliti e onesti cinesini
acchiappano con le bacchette pallottole di pasta,
giocano con strette carte filettate
e devono vodka, rondini dello Jan-Tse.
Amo le corse dei tram cinguettanti
e il caviale astrachano dell’asfalto,
rivestito di stuoie di paglia
come i fiaschi di vino d’Asti,
e le piume di struzzo delle armature nei cantieri
delle case di Lenin.
Entro nei meravigliosi teatrini dei musei
dove Rembrandt scheletrici si gonfiano
fino alla lucentezza della pelle di Cordova;
ammiro le mitre cornute di Tiziano
e lo screziato Tintoretto ammiro
per i suoi mille pappagalli striduli…
E quanta voglia ho di lasciarmi andare,
di fare un po’di chiacchiere, di dire la verità,
di mandare lo spleen alla nebbia, al diavolo, alla forca,
di prendere qualcuno per mano e: Sii gentile,
dirgli, visto che andiamo per la stessa strada…
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