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21 luglio 2019

da L’isola del giorno prima - Umberto Eco

da L’isola del giorno prima - Umberto Eco

Certo, aveva detto Roberto, si può pensare di tutto. A vortici privi di pianeti, a vortici che si urtano l’un l’altro, a vortici che non siano rotondi ma esagonali, così che su ciascuna faccia o lato di essi si inserisca un altro vortice, tutti insieme componendosi come le celle di un alveare, oppure che siano poligoni i quali, appoggiandosi l’uno all’altro, lascino dei vuoti, che la natura riempie con altri vortici minori, tutti ingranati tra loro come le rotelle degli orologi il loro insieme muovendo nell’universo cielo come una gran ruota che gira e nutre all’interno altre ruote che girano, ciascuna con ruote minori che girano nel loro seno, e tutto quel gran cerchio percorrendo nel cielo una rivoluzione immensa che dura millenni, forse intorno a un altro vortice dei vortici dei vortici… E a quel punto Roberto rischiava di annegare, per la gran vertigine che gli sopravveniva.
E fu a questo momento che padre Caspar ebbe il suo trionfo. Allora, spiegò, se la terra gira intorno al sole, ma il sole gira intorno a qualcosa d’altro (e tralasciando di considerare che questo qualcosa d’altro giri ancora intorno a qualcosa più d’altro ancora), abbiamo il problema della roulette - di cui Roberto avrebbe dovuto sentir parlare a Parigi, dato che da Parigi era arrivato in Italia tra i galileiani, che le pensavano proprio tutte pur di disordinare il mondo.
“Cos’è la roulette?” chiese Roberto
“Tu la puoi chiamare anche trochoides o cycloides, ma poco muta. Immagina tu una ruota.”
“Quella di prima?”
“No, ora tu immagina la ruota di un carro. Et immagina tu che sul cerchio di quella ruota ci sta un chiodo. Ora immagina che la ruota ferma sta, et il chiodo proprio sopra il suolo. Ora tu pensa che il carro va et la ruota gira. Che cosa tu pensi che accadrebbe a questo chiodo?”
“Beh, se la ruota gira, a un certo punto il chiodo sarà in alto, ma poi quando la ruota ha fatto tutto il suo giro si trova di nuovo vicino a terra.”
“Quindi tu pensi che questo chiodo un movimento come circolo ha compiuto?” “Eh, sì. Certamente non come un quadrato.”
“Ora tu ascolta, bamboleggione. Tu dici che questo chiodo si trova a terra nello stesso punto dove era prima?”
“Aspettate un momento… No, se il carro andava avanti, il chiodo si trova a terra, ma molto più avanti.”
“Quindi esso non ha compiuto movimento circolare.”
“No, per tutti i santi del paradiso,” aveva detto Roberto.
“Tu non devi dire Pertuttisantidelparadiso.”
“Scusate. Ma che movimento ha compiuto?”
“Ha una trochoides compiuto, e perché tu capisci dico che quasi è come il movimento di una palla che tu lanci davanti a te, poi tocca terra, poi fa un altro arco di cerchio, et poi novamente - solo che mentre la palla a un certo momento fa archi sempre più piccoli, il chiodo archi sempre regolari farà, se la ruota sempre alla medesima velocità va.”
“E che cosa vuol dire questo?” aveva chiesto Roberto, intravedendo la sua sconfitta.
“Questo vuole dire che tu dimostrare tanti vortices et infiniti mondi vuoi, et che la terra gira, et ecco che tua terra non gira più, ma va per l’infinito cielo come una palla, tumpf tumpf tumpf - ach che bel movimento per questo nobilissimo planeta! E se tua teoria dei vortices buona è, tutti i corpi celesti facevano tumpf, tumpf tumpf - adesso lascia me ridere che questo è finalmente il più grosse divertimento di mia vita!”
Difficile replicare a un argomento così sottile e geometricamente perfetto - e per di più in perfetta malafede, perché padre Caspar avrebbe dovuto sapere che qualcosa di simile sarebbe accaduto anche se i pianeti giravano come voleva Ticone. Roberto se ne era andato a dormire umido e mogio come un cane. Nella notte aveva riflettuto, per vedere se non gli convenisse allora abbandonare tutte le sue idee eretiche sul moto della terra. Vediamo, si era detto, se pure padre Caspar avesse ragione, e la terra non si muovesse (altrimenti si muoverebbe più del dovuto e non si riuscirebbe a fermarla più), questo potrebbe mettere a repentaglio la sua scoperta del meridiano antipodo, e la sua teoria del Diluvio, e insieme il fatto che l’Isola sia là, un giorno prima del giorno che è qua? Per nulla.
Dunque, si era detto, forse mi conviene non discutere le opinioni astronomiche del mio nuovo maestro, e ingegnarmi invece di nuotare, per ottenere quello che davvero mi interessa, che non è dimostrare se avessero ragione Copernico e Galilei o quell’altro imbolsito del Ticone di Uraniburgo - ma di vedere la Colomba Color Arancio, e porre piede nel giorno prima - cosa che né Galileo, né Copernico, né Ticone né i miei maestri e amici di Parigi si erano mai sognati. E dunque il giorno dopo si era ripresentato a padre Caspar come alunno obbediente, sia in cose natatorie che astronomiche.
Ma padre Caspar, col pretesto del mar mosso, e di altri calcoli che doveva fare, per quel giorno aveva rinviato la sua lezione. Verso sera gli aveva spiegato che, per imparare la natatione, come lui diceva, ci vuole concentrazione e silenzio, e non si può lasciar andare la testa tra le nuvole. Visto che Roberto era portato a fare tutto il contrario, se ne concludeva che non aveva attitudine al nuoto.
Roberto si era chiesto come mai il suo maestro così orgoglioso della sua maestria, avesse rinunciato in modo così repentino al proprio progetto. E io credo che la conclusione che ne aveva tratto fosse quella giusta. Padre Caspar si era messo in testa che il giacere o anche il muoversi nell’acqua, e sotto il sole, producesse a Roberto un’effervescenza del cerebro, che lo induceva a pensieri pericolosi. Il trovarsi a tu per tu col proprio corpo, l’immergersi nel liquido, che era pure  materia, in qualche misura lo imbestiava, e lo induceva a quei pensieri che sono propri a nature disumane e matte.
Occorreva dunque a padre Caspar Wanderdrossel trovare qualcosa di diverso per raggiungere l’Isola, e che non costasse a Roberto la salute dell’anima.

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