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10 luglio 2019

da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta

dipinto di Henri Matisse
da L’oro di Napoli – Giuseppe Marotta
La mostra
Conoscete le notti che, a Napoli, precedono Natale? Conoscete il braciere? Quell’aria chiara, autentica, giovane come Dio lasciò detto al vento di terra, o tramontana, che la rifacesse ogni tanto; gli spazi vuoti fra le stelle che si allargano per accogliere le eventuali preghiere dei vicoli, o per consentire il passaggio della cometa annunziatrice; e il braciere è uno scaldino d’ottone dall’orlo levigato e tenero per chi voglia poggiarvi i piedi, pieno di
ammiccante cinigia, favorevolissimo ai pensieri. La sera del 19 dicembre 1920 don Aniello pensò che il freddo era pungente e che sua moglie si era forse scoperta nel sonno. Valeva la pena di salire a rimboccarle le coperte? Non decise niente, si riconsegnò anzi ad un altro pensiero, quello dei figli perduti. Il braciere ha il calore lungo e dolce di una cara guancia, è proprio fatto perché padre e figli vi si sfiorino bisbigliando. “Quanti anni avrebbero ora i bambini?” pensò don Aniello; e d’improvviso, senza rimettersi le scarpe,
si alzò. Nel vicolo c’era una luna abbagliante e muta; scalzo appunto come la luna e non meno diafano, il migliore dei fruttivendoli ritenne di poter momentaneamente lasciare incustodita la sua mostra natalizia, per assicurarsi che donna Concetta non si fosse scoperta. I suoi timori ebbero una clamorosa conferma. L’altro, chiunque fosse, si salvò riguadagnando dalla finestrella il cortile. Don Aniello, del resto, non si trattenne a lungo. Seduto sulla sponda del letto aspettava che gli tornassero le forze per andarsene.
«Perciò mettesti l’anello sotto la campana di vetro» disse. «Non aver paura, lo so anche che cosa ti manca e tu sai che lo so.»

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