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15 luglio 2019

da Utz – Bruce Chatwin

da Utz – Bruce Chatwin

Non dovemmo aspettare molto prima che una figura macilenta e barbuta, vestita di un liso doppiopetto, entrasse spingendo la porta girevole. Orlík si tolse il berretto, rivelando una massa di capelli ispidi sale e pepe, e si mise a sedere. La sua mano – più che una mano la chela di un crostaceo – dette alla mia una dolorosa pinzata, per poi passare all’attacco dei salatini. La fronte era percorsa da solchi profondi. Fissavo con stupore il lavorio della sua mascella.
“Ah!! Ha! ” disse guardandomi di sottecchi. “Inglese, eh? Un inglese! Si. Si! Mi dica, è ancora vivo il professore Horsefield? “.
“Chi é? ” gli chiesi.
“Ha scritto delle cose gentili di mio articolo sul Journal of Animal Psychology””.
“Quando? “.
” 1935” disse lui. “Forse ‘36”.
“E’ un nome che non ho mai sentito”.
“Peccato” disse Orlík. “Era illustre scienziato”.
Fece una pausa per sgranocchiare l’ultimo salatino rimasto. Gli occhi verdi brillarono di scherzoso malanimo.
“Normalmente” continuò “io non ho molta stima per suoi compatrioti. Ci avete traditi a Monaco… Ci avete traditi a Yalta…”.
Utz, allarmato dalla piega pericolosa che stava prendendo la conversazione, lo interruppe dicendo in tono solenne: “Io non riesco a credere che gli animali abbiano un’anima”.
“Come puoi dirlo? ” saltò su Orlík.
“Lo dico”.
“Lo so che lo dici, quello che non so è come puoi dirlo”.
“Ora ordino” disse Utz, sventolando il tovagliolo come fosse una bandiera bianca in direzione del cameriere. “Ordino una trota. Au bleu, si dice così, vero? “.
“Blau” lo canzonò Orlík.
“Blau sarai tu”.
Orlík mi tirò per la manica: “Questo mio amico, il signor Utz, crede che la trota, quando immergono in acqua bollente, non sente altro che un po’ di prurito. lo non penso così”.
“Non abbiamo trote” disse il capocameriere.
“Come sarebbe, “non abbiamo trote”? ” ribatte Utz. “Sì che ce ne sono, e molte”.
“Non abbiamo la rete”.
“Come sarebbe, “non abbiamo la rete”? La settimana scorsa c’era”.
“E’ rotta”.
“Rotta? Non ci credo”.
Il capocameriere si mise un dito sulle labbra e bisbigliò: “Quelle trote sono riservate”.
“Per loro? “.
“Loro” annuì.
Quattro grassoni stavano mangiando trote a un tavolo li accanto.
“Benissimo” disse Utz. “Prenderò anguille. Le prende anche lei? “.
“Si” risposi io.
“Non abbiamo anguille” disse il cameriere.
“Niente anguille? Che peccato. Cosa avete? “.
“Abbiamo carpa”.
“Solo carpa? “.
“Carpa”.
“Come la cucinate la carpa? “.
“In molti modi”. Il cameriere fece un gesto per indicare il menu. “Come volete voi”.
Il menu era plurilingue: ceco, russo, tedesco, francese e inglese. Ma chi aveva compilato la pagina inglese aveva messo, al posto di carp, crap. Sotto il titolo crap dishes, la lista conteneva: zuppa di crap con paprika, crap farcita, crap cotta nella birra, crap fritta, polpette di crap, crap à la juive…
“In Inghilterra” dissi “questo pesce si chiama carp. Crap vuol dire un’altra cosa”.
“Ah, si?” disse il dottor Orlík. “Che cosa?”.
“Feci. Merda”.
Mi pentii di averlo detto, perché Utz mi sembrò estremamente imbarazzato. Sbatté le palpebre come se sperasse di non aver sentito bene.
L’ansante carapace di Orlík era scosso dalle risate.
“Ah! Ah!”. Lo prendeva in giro. “Crap à la juive… Il mio amico Utz prende crap à la juive…!”.
Temevo che Utz se ne andasse, ma riuscì a riprendersi dal suo sconcerto e ordinò zuppa e carpe meunière.
Io scelsi la linea della minor resistenza e ordinai la stessa cosa. Orlík protestò, con la sua voce sonora e crepitante: “No. No. Io prendo crap à la juive …!”.
“E per primo?” chiese il cameriere.
“Niente” disse Orlík. “Solo crap!”.
Io cercai di dirottare la conversazione verso la collezione di porcellane di Utz. La sua reazione fu di ruotare il collo nel colletto e dire in tono neutro:
“Anche il dottor Orlík è un collezionista. Ma lui colleziona mosche”.
“Mosche?”.
“Mosche” assentì Orlík.

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