Mario Sironi. Paesaggio urbano,1922
Ritorno - Forough FarrokhzadE infine la strada giunse al suo termine
ero arrivata dal sentiero di polvere,
s’affrettava il mio sguardo, più di me stessa,
dalle labbra porgevo il mio saluto caldo.
La città in fiamme nella canicola di mezzogiorno
il vicolo ardeva nella vampa del sole,
i miei passi sui ciottoli silenti
uno dopo l’altro, tremanti, tremanti.
Di un altro colore le case,
polverose, buie, indignate.
I volti fasciati dai veli,
come anime strette dai lacci.
In secca il ruscello, come occhio accecato
vuoto d’acqua e d’ogni sua traccia,
passava per la via un uomo e cantava
piene le mie orecchie di quell’aria.
La cupola amica della vecchia moschea,
ancora lì le mattonelle spaccate,
e un vecchio fedele, su in cima al minareto,
nella melodia malinconica, chiamava alla preghiera.
Dietro i cani correvano
a piedi nudi i bambini, i sassi nella mano.
Sorrise una donna dietro il suo velo
subito si levò il vento e chiuse una porta.
Dalla bocca nera delle coorti
l’odore umido delle fosse
col bastone puntellava il cammino un uomo cieco,
un volto familiare veniva da lontano.
E lì una porta aperta si volse nel silenzio
delle mani mi trassero al petto
Una lacrima, dalle nuvole degli occhi,
delle mani mi cacciarono via.
Sul muro ancora la vecchia edera
ondeggiava come fonte zampilla
sul dorso delle sue grosse foglie
il verde e la polvere d’altri tempi.
Scrutavano i miei occhi e io chiesi:
Cos’è rimasto di lui?
Ma vidi che vuota era la stanza
del suo chiasso un tempo bambino.
Dal cuore di terra fredda dello specchio
improvvisa la sua immagine spuntò come un fiore,
nell’onda del suo sguardo di velluto
ahimé, anche in sogno mi vide!
Mi appoggiai al petto del muro
Dissi pian piano:
Sei tu, proprio tu, Kami, bimbo mio?
E compresi che di quel passato amaro
altro non restava che il ricordo di un nome.
E infine la strada giunse al suo termine
ero arrivata dal sentiero di polvere,
la sete non conduceva alla fonte,
oddio, era la tomba delle mie speranze,
la mia città.
trad. Domenico Ingenito
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