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23 settembre 2019

da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

opera di Wassily Kandinsky
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

111. ESTETICA DELL’ARTIFICIO
La vita pregiudica l’espressione della vita. Se io vivessi un grande amore non lo potrei mai raccontare. Io stesso non so se questo io, che vi espongo, su tutte queste pagine serpeggianti, esista realmente o se sia solo un concetto estetico e falso che ho fatto di me stesso. Sì, è così. Vivo me stesso esteticamente in un altro. Ho scolpito la mia vita come una statua di materiale estraneo al mio essere. A volte non mi riconosco, tanto mi sono posto all’esterno di me stesso, e per come ho usato la coscienza di me stesso in modo puramente artistico. Chi sono io sotto questa irrealtà? Non lo so. Qualcuno devo essere. E se non cerco di vivere, di agire, di sentire, è – potete credermi – per non interferire con le linee segnate della mia personalità immaginata. Voglio essere tale e quale ho voluto essere e non sono. Se cedessi mi distruggerei. Voglio essere un’opera d’arte, almeno dell’anima, visto che non posso esserlo del corpo. Per questo mi sono scolpito in calma e straniamento e mi sono chiuso in una serra, lontano dall’aria fresca e dalle luci vive – dove la mia artificiosità, fiore assurdo, fiorisca in distante bellezza. A volte penso a quanto sarebbe bello, unendo i miei sogni, potermi creare una vita continua, che si svolge, nello scorrere di intere giornate, con commensali immaginari, con personale di servizio, e vivere, soffrire, assaporare questa vita falsa. Allora mi succederebbero delle disgrazie; grandi allegrie si riverserebbero su di me. E niente di me sarebbe reale. Ma tutto avrebbe una sua superba logica: tutto seguirebbe un ritmo di voluttuosa falsità, accadendo tutto in una città fatta della mia anima, perduta fino al molo ai piedi di un treno fermo, molto lontano dentro di me, molto lontano… E tutto nitido, inevitabile, come nella vita esteriore, ma estetica di Morte del Sole.

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