dipinto di Yuri Krotov
L’adolescente – Giacomo ZanellaI
Ha quindici anni, e l’anima s’inforsa
Come nomarlo. Lo diran fanciullo
O giovine i miei canti? Angelo o creta?
Chè le tempeste de’ maturi giorni
Già gli ruggono in core, e l’innocenza
Virginali fragranze anco vi spande.
Vedi con quanta tenerezza al collo
Della madre si avventa, e volto il capo
Guata ad un’ora timido e confuso
La cara treccia giovanil che spunta
Là fra i roseti del giardino. Ignora
Qual sua gloria sarà; ma della gloria
Già l’infiamma il pensier: non sa che brami,
Ma di fervide brame un incessante
Affollar lo combatte. Oh, se disciolta
Gli fosse la catena! oh, se potesse
Coll’aquila levato oltre que’ monti
Batter l’ala a più liberi orizzonti!
II.
Al rezzo delle piante, in sul tappeto
Molle dell’erbe romoroso coro
Tripudia di fanciulli, a cui due lustri
Ridono appena sul vermiglio viso.
Lì son vividi fior, limpide fonti
E cantanti usignuoli: aerea volta
Tesson gli opachi rami, onde lampeggia
Tremolo il sol ch’ all’occidente inchina.
Ma di fiori, di fonti e d’usignuoli
Al fanciullo non cal, che li calpesta
O gl’intorbida o scaccia, e sull’occaso
Spegnersi lascia inosservato il sole.
Silenzïoso dal materno collo
Si spicca il giovanetto e delle piante
Nella cercata oscurità s’aggira.
Fiori, fonti, usignuoli, avvolte frondi
E purpurei tramonti al cor gli danno
Ineffabil dolcezza: ode una voce
Dall’universo uscir, che non compresa
Pur nell’alma gli suona e l’innamora;
Che ad altri mondi lo solleva e questo,
Pur gli fa benedir dove dimora.
Tal de’ mobili regni hanno confine
Infanzia e giovinezza! Ha picciol’alma
Lieve, incostante il fanciulletto: ardenti,
Smisurati fantasimi al garzone
Affaticano il core. Oh, se disciolta
Gli fosse la catena! oh, se potesse
Coll'aquila levarsi oltre que’ monti
Navigando a più liberi orizzonti!
III.
Ma che vuoi, dell’infanzia il limitare
Valicato, che vuoi, bel garzoncello?
Che sogni sono i tuoi? Sogni la gloria,
Sogni l’amore? Tu nol sai. Sull’erba
Steso neglettamente all’accerchiante
Ampia giogaia delle tue montagne
Giri lo sguardo e di veder le mura
Di una carcer t’avvisi. A più diffuso
Lume di soli, a più largo aere aperto
Alle fughe dell’ala infaticata
Bramosamente aneli, e ti dibatti
Contro i tuoi ferri insanguinando il petto,
Giovin falco mal domo. Io non ti chiedo
Che sia l’amore: tu l’ignori. Il lampo
De’ neri occhi ti piace o degli azzurri?
Candida o bruna è la beltà che segui
Tacendo e disïando? Ami la rosa
Anco nel verde calice ravvolta,
O di sue pompe in sul meriggio altera?
Tu nol sai: ma nell’anima indistinto
T’arde un desìo d’amor, che di bei volti
Fuggitivi ti popola le valli
D’immaginati elisi. Oh, se disciolta
Ti fosse la catena! oh, se potessi
Coll'aquila volando oltre que’ monti
Profondarti a più liberi orizzonti!
IV.
Batte alle porte del futuro indarno
Il timido garzon, che di sua vita
Il certo corso ed i gran fini ignora.
Altro ei non sa, se non che vago, arcano,
Di battaglie foriero e di trionfi
Un desìo lo divora e lo sospinge
Ad ardua meta. Ei sa che a sommo i cieli
Non isfolgora il sole, occhio del mondo,
Perchè dell'uomo illumini i codardi
Ozi e le pompe inutili e la tomba
Che spregiato l'inghiotte ed incompianto
Pur dagli occhi de’ suoi. Sente che il core
Ha bisogno d’un core, in cui riversi
I segreti suoi pianti e le speranze;
Che con sè lietamente alle fumose
Mura ripari di un tugurio e scorga
Nelle canne la porpora; che l’ami
D’un amor, qual de’ teneri poeti
Spira negl’ inni e mai non vide il mondo.
Cotal vaneggia il giovincel che al collo
Della madre si avventa, e volto il capo
Guata ad un’ora timido e confuso
La cara treccia giovanil che spunta
Là fra i roseti del giardino. Angusta
Gli è la valle natìa: d’aria, di luce
Fiera sete lo strugge. Oh, se disciolta
Gli fosse la catena! oh, se potesse
Coll’aquila levato oltre que’ monti
Batter l’ala a più liberi orizzonti!
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