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26 maggio 2020

Lettera a Tat'jana Jakovleva – Vladimir Majakovskij

dipinto di Peregrine-Heathcote
Lettera a Tat'jana Jakovleva – Vladimir Majakovskij

Nel bacio delle mani
                                     e delle labbra,
nel tremito dei corpi
                                     a me più cari,
anche lì
               il rosso
                             colore
delle mie repubbliche
                                       sia
                                               fiammeggiante fulgore.
Io non amo
l’amore parigino:
una qualunque cagnetta
vestitela di seta,
e tra sbadigli io mi addormenterò –
    a cuccia! –
intimando
ai cani 
dell’imbestiata passione.
Tu sola
   sei al mio pari,
mettiti a fianco a me
                                      ciglio con ciglio,
e lascia
   che di questa
      tanto solenne sera
io possa raccontare
  in modo umano.
Le cinque,
        e da quell’ora
si è acquietata
della gente
la selva sconfinata,
è diventata smorta
l’affollata città,
sento appena
  un rissoso fischiare
di treni per Barcellona.
Nell’aria nero cupa
un passaggio di lampi,
fulmine
   d’imprecazioni
        nel dramma dei cieli –
non è tempesta
     questa
        ma è semplicemente
gelosia
  da spostare le montagne.
Alla rudezza di stupide parole
non fare caso,
non aver paura
     di questo fragore –
domerò io,
imbriglierò
i sentimenti
dei nobili discendenti.
Il morbillo della passione
va via come una squama,
però la gioia mai
non si prosciuga,
a lungo io parlerò,
semplicemente parlerò
nei miei versi.
Gelosia,
   mogli,
   lacrime…
        non più! –
si gonfiano le palpebre,
come al Vij.
Non è per me,
   ma io
  sono geloso
per la Russia Sovietica.
Ho visto
    rattoppature sulle spalle,
e quelle
  è la tisi
     a leccarle il respiro.
Dunque
   non era colpa nostra –
a star male eran cento
milioni di persone.
Noi
       adesso
con quelli come te siamo gentili –
con lo sport
non se ne raddrizzano molti, –
anche di voi
a Mosca c’è bisogno,
non basteranno mai
  le gambe lunghe.
Non è date
che attraversasti
nevi
e pestilenze
con queste belle gambe,
qui
       alle carezze
        scoprile
nelle cene
coi petrolieri.
Non stare tanto a pensare
                                            col tuo semplicemente
socchiudere le ciglia raddrizzate.
Vieni qui,
                vieni all'incrocio
delle mie grandi
                            e rudi braccia.
Non vuoi ?
                 Restaci allora, e sverna,
e questo
               affronto
                            mettiamolo nel conto.
Non me ne importa,
                                 un giorno
                                                  ti prenderò –
te sola
            o con tutta Parigi.

15 ottobre-3 dicembre 1928

trad. Giovanni Giudici

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