René Magritte - La tomba dei lottatori, 1960
Meno che mai – Dominique Grandmont
Chiusa l’equazione si apre
quando il cuore non tradisce
che l’ebbrezza delle strade
oppure un giuramento contro una falesia
quale riverbero da noi condiviso
tra il caso e il destino
ma più lontano della caduta
dove il più bello degli alberi
strappa l’oro dei suoi viaggi
e l’ombra una scrittura
dove l’immagine è questa parola
ripresa dalla sua fuga
quando l’oblio mercenario
eclissa la luce
che ingiallisce delle sue lettere
né la sfilata di alcuna prova
sul tapis roulant dei gesti
fuoriusciva azzurrata dallo schermo
nel cinema di una strada
se non per trasformare l’avvenire
in un presente impossibile
più vero di un altro in cui il suicidio
sarebbe smarrirsi per attendere niente
se non dove non importa né come
in un angolo di muro oppure così tardi
che trasportati dal primo treno
sulle ali dell’esistenza
sono trovati da ciò che trovano
nuvole specchi esplosi
dove si scrive l’esatta legenda
della loro solitudine innumerevole
quando per dormire rimpiazzano
col pugno il loro viso
oppure si danno un colpo di pettine
nel retrovisore di una macchina
voltando la schiena all’eternità
poiché sarebbero là per sempre
quello che si alza inciampando
prima di affilare il suo cervello
sul bordo del marciapiede o quella
sotto il mosaico delle foglie
che si appoggia al muro per camminare
Traduzione di Enzo Lamartora
“Poesia” n. 335, marzo 2018. Crocetti Editore
Chiusa l’equazione si apre
quando il cuore non tradisce
che l’ebbrezza delle strade
oppure un giuramento contro una falesia
quale riverbero da noi condiviso
tra il caso e il destino
ma più lontano della caduta
dove il più bello degli alberi
strappa l’oro dei suoi viaggi
e l’ombra una scrittura
dove l’immagine è questa parola
ripresa dalla sua fuga
quando l’oblio mercenario
eclissa la luce
che ingiallisce delle sue lettere
né la sfilata di alcuna prova
sul tapis roulant dei gesti
fuoriusciva azzurrata dallo schermo
nel cinema di una strada
se non per trasformare l’avvenire
in un presente impossibile
più vero di un altro in cui il suicidio
sarebbe smarrirsi per attendere niente
se non dove non importa né come
in un angolo di muro oppure così tardi
che trasportati dal primo treno
sulle ali dell’esistenza
sono trovati da ciò che trovano
nuvole specchi esplosi
dove si scrive l’esatta legenda
della loro solitudine innumerevole
quando per dormire rimpiazzano
col pugno il loro viso
oppure si danno un colpo di pettine
nel retrovisore di una macchina
voltando la schiena all’eternità
poiché sarebbero là per sempre
quello che si alza inciampando
prima di affilare il suo cervello
sul bordo del marciapiede o quella
sotto il mosaico delle foglie
che si appoggia al muro per camminare
per André Velter
15 maggio 2016
15 maggio 2016
Traduzione di Enzo Lamartora
“Poesia” n. 335, marzo 2018. Crocetti Editore
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