La gabbia di Anna
«Non fatemi domande per le quali non ho le vostre risposte»
L’opera di Maria Lovito si colloca al confine tra un romanzo breve e un racconto lungo ma al di là degli aspetti formali e anche della trama mi piace sottolineare la narrazione lieve di un fatto di violenza domestica basato su un episodio reale. Una lettura piacevole dall’inizio alla fine sebbene nelle pagine del libro di Maria Lovito si affronti una questione tutt’altro che leggera come, appunto la violenza di genere tra le mura domestiche. L’ho letto in poco più di un’ora una prima volta e poi ancora una seconda per meglio entrare nella storia di Anna, protagonista suo malgrado, del racconto e dell’ennesimo episodio di violenza perpetrato a danno di una donna. Una delle tante storie sempre più frequenti, purtroppo, che si consumano nelle case di persone apparentemente normali. Nella propria casa, nel luogo, cioè, più sicuro per antonomasia, o così dovrebbe essere. Sempre più spesso, invece, la casa diventa una “gabbia” dentro cui si infrangono i sogni, muoiono i desideri, svaniscono le speranze, si spezzano delle vite.
Anna è una giovane donna che con il matrimonio immagina di realizzare i sogni di una vita assieme al suo sposo. La sua casa, la nuova casa è per lei il luogo dove costruire i sogni e dare sostanza ai desideri. Desideri, si badi, normalissimi come normali sono le aspettative di chiunque insegua un’esistenza serena. Eppure quella casa diventa la sua gabbia. Una prigione costruita giorno dopo giorno quasi senza accorgersene, e in quella gabbia cessa la sua esistenza. La donna è sopraffatta da umiliazioni e sopraffazioni. Dietro le invisibili sbarre Anna si nasconde. Nasconde i pianti, i silenzi, i segni della violenza fisica; solo quelli evidenti giacché le ferite più profonde sono invisibili. È la stessa Anna, inconsapevolmente, che inizialmente contribuisce ad edificare le sbarre che la imprigionano. Non riesce a prendere coscienza della realtà, delle dimensioni delle atrocità subite “per amore”. Le donne vittime di violenza, infatti, subiscono per lungo tempo in silenzio alla ricerca incessante di giustificazioni per le minacce, le vessazioni, le privazioni, i calci del loro carceriere/aguzzino addossandosi, finanche, colpe che non hanno. Ci mettono mesi e anni prima di trovare la forza per reagire. Molte volte il carnefice non concede loro il tempo necessario alla presa di coscienza perché le cancella prima e definitivamente dall’esistenza.
“La gabbia di Anna” è una storia di ordinaria violenza, si potrebbe dire, a danno di una donna, di una moglie, di una compagna. Come tutte le vittime della violenza di genere Anna non riesce a difendersi fin da subito proprio perché è inconcepibile ammettere di essere l’oggetto della violenza perpetrata dall’uomo della sua vita. Chi può insegnare come difendersi da chi si ama? Nessuno, se non la propria esperienza e la determinazione. Il marito di Anna, come i suoi omologhi, è un vigliacco. Aguzzini tra le mura domestiche capaci di trasformare in vittime donne indifese da cui sono amati. Sono vigliacchi perché nascondono la loro viltà spacciandosi per brave persone nella vita sociale dalla quale escludono le loro compagne. Ed è una comunità di ignavi ad accettarli, a tollerarli, a sminuire le loro responsabilità o, addirittura, a giustificarli. Un vigliacco che nasconde le sue frustrazioni, le sue gelosie, i deliri di possesso, le violenze più efferate dietro l’amore dovrebbe essere bandito dal consesso civile; troppo frequentemente, invece, lo si vede girare indisturbato e sorridente raccontare le sue imprese di “maschio”, di “uomo di casa”, di colui che “porta i pantaloni”.
Anna, una donna come tante, troverà la forza necessaria e abbatterà la sua gabbia.
La protagonista del libro di Maria Lovito è un’eroina proprio nel suo essere donna “normale”. Anna è straordinariamente forte come lo sono tutte le donne che improvvisamente si trovano ingabbiate nella loro esistenza. Anna è forte perché prende coscienza di una realtà subita e trova la forza in situazioni difficili per liberare sé stesa e il figlioletto da un incubo. È un’eroina “normale” poiché il diritto di una donna di vivere al di fuori di ogni gabbia è la cosa più ovvia e ogni volta che nelle cronache leggiamo di episodi di violenza di genere non dobbiamo addossare la colpa al solo autore dell’atto poiché la colpa di ogni violenza è di tutti noi, della nostra indifferenza, della nostra accondiscendenza.
La mia vicinanza e la stima incondizionata va alla protagonista del racconto, a suo figlio e a tutte le vittime della stupidità dei vigliacchi.
Esprimo, infine, riconoscenza all’autrice per il suo contributo a una tematica spinosa della quale è utile e necessario continuare a parlarne e Maria Lovito lo fa con i toni lievi di cui è capace una donna impegnata nel sociale oltre ad essere infaticabile divulgatrice della cultura sotto forma di storie di carta quali sono i libri.
Enzo Montano
Maria Lovito – La gabbia di Anna
Edigrafema, Matera, marzo 2019
Anna è una giovane donna che con il matrimonio immagina di realizzare i sogni di una vita assieme al suo sposo. La sua casa, la nuova casa è per lei il luogo dove costruire i sogni e dare sostanza ai desideri. Desideri, si badi, normalissimi come normali sono le aspettative di chiunque insegua un’esistenza serena. Eppure quella casa diventa la sua gabbia. Una prigione costruita giorno dopo giorno quasi senza accorgersene, e in quella gabbia cessa la sua esistenza. La donna è sopraffatta da umiliazioni e sopraffazioni. Dietro le invisibili sbarre Anna si nasconde. Nasconde i pianti, i silenzi, i segni della violenza fisica; solo quelli evidenti giacché le ferite più profonde sono invisibili. È la stessa Anna, inconsapevolmente, che inizialmente contribuisce ad edificare le sbarre che la imprigionano. Non riesce a prendere coscienza della realtà, delle dimensioni delle atrocità subite “per amore”. Le donne vittime di violenza, infatti, subiscono per lungo tempo in silenzio alla ricerca incessante di giustificazioni per le minacce, le vessazioni, le privazioni, i calci del loro carceriere/aguzzino addossandosi, finanche, colpe che non hanno. Ci mettono mesi e anni prima di trovare la forza per reagire. Molte volte il carnefice non concede loro il tempo necessario alla presa di coscienza perché le cancella prima e definitivamente dall’esistenza.
“La gabbia di Anna” è una storia di ordinaria violenza, si potrebbe dire, a danno di una donna, di una moglie, di una compagna. Come tutte le vittime della violenza di genere Anna non riesce a difendersi fin da subito proprio perché è inconcepibile ammettere di essere l’oggetto della violenza perpetrata dall’uomo della sua vita. Chi può insegnare come difendersi da chi si ama? Nessuno, se non la propria esperienza e la determinazione. Il marito di Anna, come i suoi omologhi, è un vigliacco. Aguzzini tra le mura domestiche capaci di trasformare in vittime donne indifese da cui sono amati. Sono vigliacchi perché nascondono la loro viltà spacciandosi per brave persone nella vita sociale dalla quale escludono le loro compagne. Ed è una comunità di ignavi ad accettarli, a tollerarli, a sminuire le loro responsabilità o, addirittura, a giustificarli. Un vigliacco che nasconde le sue frustrazioni, le sue gelosie, i deliri di possesso, le violenze più efferate dietro l’amore dovrebbe essere bandito dal consesso civile; troppo frequentemente, invece, lo si vede girare indisturbato e sorridente raccontare le sue imprese di “maschio”, di “uomo di casa”, di colui che “porta i pantaloni”.
Anna, una donna come tante, troverà la forza necessaria e abbatterà la sua gabbia.
La protagonista del libro di Maria Lovito è un’eroina proprio nel suo essere donna “normale”. Anna è straordinariamente forte come lo sono tutte le donne che improvvisamente si trovano ingabbiate nella loro esistenza. Anna è forte perché prende coscienza di una realtà subita e trova la forza in situazioni difficili per liberare sé stesa e il figlioletto da un incubo. È un’eroina “normale” poiché il diritto di una donna di vivere al di fuori di ogni gabbia è la cosa più ovvia e ogni volta che nelle cronache leggiamo di episodi di violenza di genere non dobbiamo addossare la colpa al solo autore dell’atto poiché la colpa di ogni violenza è di tutti noi, della nostra indifferenza, della nostra accondiscendenza.
La mia vicinanza e la stima incondizionata va alla protagonista del racconto, a suo figlio e a tutte le vittime della stupidità dei vigliacchi.
Esprimo, infine, riconoscenza all’autrice per il suo contributo a una tematica spinosa della quale è utile e necessario continuare a parlarne e Maria Lovito lo fa con i toni lievi di cui è capace una donna impegnata nel sociale oltre ad essere infaticabile divulgatrice della cultura sotto forma di storie di carta quali sono i libri.
Enzo Montano
Maria Lovito – La gabbia di Anna
Edigrafema, Matera, marzo 2019
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