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25 settembre 2015

La vecchiaia - Jorge Luis Borges

 foto da: tumblr.com 
 La vecchiaia - Jorge Luis Borges

La vecchiaia (è questo il nome che gli altri le danno)
può essere per noi il tempo più felice.
È morto l'animale o quasi morto.
Restano l'uomo e l'anima.
Vivo tra forme luminose e vaghe
che ancora non sono tenebra.
Buenos Aires,
che un tempo si lacerava in sobborghi,
verso la pianura incessante,
è di nuovo la Recoleta, il Retiro,
le confuse strade dell'Once
e le precarie case vecchie
che seguitiamo a chiamare il Sud.
Nella mia vita sono sempre state troppo le cose;
Democrito di Abdera si strappò gli occhi per pensare;
il tempo è stato il mio Democrito.
Questa penombra è lenta e non fa male;
scorre per un mite pendio
e somiglia all'eterno.
Gli amici miei non hanno volto;
le donne sono quello che furono in anni lontani,
i cantoni sono gli stessi ed altri,
non hanno lettere i fogli dei libri.
Dovrebbe impaurirmi tutto questo
e invece è una dolcezza, un ritornare.
Della generazione di testi che ha la terra,
non ne avrò letti che alcuni,
quelli che leggo ancora nel ricordo,
che rileggo e trasformo.
Dal Sud, dall' Est, dal Nord e dall'Ovest
convergono le vie che mi hanno condotto
al mio centro segreto.
Vie che furono già echi e passi,
donne, uomini, agonie e risorgere,
giorni con notti,
sogni i immagini del dormiveglia,
ogni minimo istante dello ieri
e degli ieri del mondo,
la salda spada del danese e la luna del persiano,
gli atti dei morti,
l'amore condiviso, le parole,
ed Emerson, la neve e quanto ancora.
Posso infine scordare. Giungo al centro,
alla mia chiave, all'algebra,
al mio specchio.
Presto saprò chi sono.

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