Raffaello - Concilio degli dei
Dialoghi con Leucò. Gli Dèi - Cesare Pavese
- Il monte è
incolto, amico. Sull’erba rossa dell’ultimo inverno ci son chiazze di neve.
Sembra il mantello del centauro. Queste alture sono tutte così. Basta un
nonnulla, e la campagna ritorna la stessa di quando queste cose accadevano.
- Mi domando se è
vero che li hanno veduti.
- Chi può dirlo? Ma
sì, li han veduti. Han raccontato i loro nomi e niente più – è tutta qui la
differenza tra le favole e il vero. "Era il tale o il tal’altro",
"Ha fatto questo, ha detto quello". Chi è veritiero, si accontenta.
Non sospetta nemmeno che non abbiamo mai veduto queste cose, eppure sappiamo
per filo e per segno di che mantello era il centauro o il colore dei grappoli
d’uva sull’aia di Icario.
- Basta un colle,
una vetta, una costa. Che fosse un luogo solitario e che i tuoi occhi
risalendolo si fermassero in cielo. L’incredibile spicco delle cose nell’aria
oggi ancora tocca il cuore. Io per me credo che un albero, un sasso profilati
sul cielo, fossero dèi fin dall’inizio.
- Non sempre queste
cose sono state sui monti.
- Si capisce. Ci
furono prima le voci della terra – e le fonti, le radici, le serpi. Se il
demone congiunge la terra col cielo, deve uscire alla luce dal buio del suolo.
- Non so. Quella
gente sapeva troppe cose. Con un semplice nome raccontavano la nuvola, il
bosco, i destini. Videro certo quello che noi sappiamo appena. Non avevano né
tempo né gusto per perdersi in sogni. Videro cose tremende, incredibili, e
nemmeno stupivano. Si sapeva cos’era. Se mentirono quelli, anche tu allora,
quando dici "è mattino" o "vuol piovere", hai perduto la
testa.
- Dissero nomi, questo sì. Tanto che a volte mi domando se furono prima le cose o quei nomi.
- Dissero nomi, questo sì. Tanto che a volte mi domando se furono prima le cose o quei nomi.
- Furono insieme,
credi a me. E fu qui, in questi paesi incolti e soli. C’è da stupirsi che
venissero quassù? Che altro potevano cercarci quella gente se non l’incontro
con gli dèi?
- Chi può dire
perché si fermarono qui? Ma in ogni luogo abbandonato resta un vuoto,
un’attesa.
- Nient’altro è
possibile pensare quassù. questi luoghi hanno nomi per sempre. Non rimane che
l’erba sotto il cielo, eppure l’alito del vento dà nel ricordo più fragore di
una bufera dentro il bosco. Non c’è vuoto né attesa. Quel che è stato, è per
sempre.
- Ma son morti e
sepolti. Adesso i luoghi sono come erano prima di loro. Voglio concederti che
quello che hanno detto fosse vero. Che cos’altro rimane? Ammetterai che sul
sentiero non s’incontrano più dèi. Quando dico "è mattino",
"vuol piovere", non parlo di loro.
- Questa notte ne
abbiamo parlato. Ieri parlavi dell’estate, e della voglia che ti senti di
respirare l’aria tiepida la sera. Altre volte discorri dell’uomo, della gente
che è stata con te, dei tuoi gusti passati, d’incontri inattesi. Tutte cose che
furono un tempo. Io, ti assicuro, ti ho ascoltato come riascolto dentro di me
quei nomi antichi. Quando racconti quel che sai, non ti rispondo "cosa
resta?" o se furono prima le parole o le cose. Vivo con te e mi sento
vivo.
- Non è facile
vivere come se quello che accadeva in altri tempi fosse vero. Quando ieri ci ha
preso la nebbia sugli incolti e qualche sasso rotolò dalla collina ai nostri
piedi, non pensammo alle cose divine né a un incontro incredibile ma soltanto
alla notte e alle lepri fuggiasche. Chi siamo e a che cosa crediamo viene fuori
davanti al disagio, nell’ora arrischiata.
- Di questa notte e
delle lepri sarà bello riparlare con gli amici quando saremo nelle case. Eppure
di questa paura ci tocca sorridere, quando pensassimo all’angoscia della gente
di un tempo cui tutto quello che toccava era mortale. Gente per cui l’aria era
piena di spaventi notturni, di arcane minacce, di ricordi paurosi. Pensa
soltanto alle intemperie o ai terremoti. E se questo disagio fu vero, com’è
indiscutibile, fu anche vero il coraggio, la speranza, la scoperta felice di
poteri, di promesse d’incontri. Io, per me, non mi stanco di sentirli parlare
dei loro terrori notturni e delle cose in cui sperarono.
- E credi ai mostri,
credi ai corpi imbestiati, ai sassi vivi, ai sorrisi divini, alle parole che
annientavano?
- Credo in ciò che ogni uomo ha sperato e patito. Se un tempo salirono su queste alture di sassi o cercarono paludi mortali sotto il cielo, fu perché ci trovavano qualcosa che noi non sappiamo. Non era il pane né il piacere né la cara salute. Queste cose si sa dove stanno. Non qui. E noi che viviamo lontano lungo il mare e nei campi, l’altra cosa l’abbiamo perduta.
- Credo in ciò che ogni uomo ha sperato e patito. Se un tempo salirono su queste alture di sassi o cercarono paludi mortali sotto il cielo, fu perché ci trovavano qualcosa che noi non sappiamo. Non era il pane né il piacere né la cara salute. Queste cose si sa dove stanno. Non qui. E noi che viviamo lontano lungo il mare e nei campi, l’altra cosa l’abbiamo perduta.
- Dilla dunque, la
cosa.
- Già lo sai. Quei
loro incontri.
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