Vignetta dal quotidiano "il manifesto"
Politica e impegni pubblici ovvero la
coerenza dell’incoerenza
“Carissima
mamma, vorrei che tu non ti spaventassi o ti turbassi troppo qualunque condanna
siano per darmi. Che tu comprendessi bene, anche col sentimento, che io sono un
detenuto politico e sarò un condannato politico, che non ho e non avrò mai da
vergognarmi di questa situazione. Che, in fondo, la detenzione e la condanna le
ho volute io stesso, in certo modo, perché non ho mai voluto mutare le mie
opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in
prigione. Che perciò io non posso che essere tranquillo e contento di me
stesso. Cara mamma, vorrei proprio abbracciarti stretta stretta perché sentissi
quanto ti voglio bene e come vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho
dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli
qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono
conservare il loro onore e la loro dignità di uomini. Ti abbraccio teneramente.
Nino.”
Antonio Gramsci, lettera alla
madre, del 10 maggio 1928 da Lettere dal carcere
In molteplici occasioni pubbliche (discorso al Senato della Repubblica, iniziative politiche, comizi, trasmissioni televisive, interviste, ecc.), l’ex Presidente del Consiglio dei Ministri e segretario del Partito democratico ha dichiarato (quasi fosse una minacia) che, per coerenza e serietà politica, non solo si sarebbe dimesso dal ruolo di capo del governo, ma avrebbe smesso di fare politica in caso di vittoria del No al referendum sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi. Dichiarazioni nello stesso senso sono state rilasciate anche dal Ministro Maria Elena Boschi, dal Ministro Dario Franceschini, dall’attuale ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli e dall’on. Ernesto Carbone della segreteria del Partito democratico.
Bene, alla luce dell’impostazione della campagna referendaria, il risultato del 4 dicembre ha sancito una sonora bocciatura per Renzi, per il Pd e per il governo. Ciononostante e a distanza di oltre quaranta giorni dalla sconfitta senza appello, Renzi, dimessosi da Palazzo Chigi, rimane alla guida del Partito Democratico e sembra non abbia ben compreso la portata della sua bocciatura da parte dell’elettorato italiano, non è solo un’ipotesi una sua candidatura alle prossime elezioni.
Naturalmente niente ritiro dalla scena pubblica neanche per gli altri: Maria Elena Boschi è diventata Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel governo Gentiloni, Dario Franceschini è stato confermato Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, delle annunciate dimissioni dell’onorevole Carbone non si hanno notizie.
Per ascoltare, o leggere, le dichiarazioni di Renzi e degli altri basta fare una ricerca sul web dove si potranno visionare filmati e articoli di stampa.
Riporto un elenco certamente parziale delle tante dichiarazioni per mera comodità di lettura:
• “È del tutto evidente che se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza in politica”, 29 dicembre 2015, conferenza stampa di fine anno;
• “Il referendum non è un plebiscito ma è giusto che la parola passi ai cittadini. Per anni la classe politica non ha fatto niente. Adesso è arrivato un governo nuovo che ha cercato di realizzare alcune cose. Se sulla madre di queste battaglie, che è la riforma costituzionale, i cittadini non sono d’accordo, hanno tutto il diritto di dirlo ed io ho il dovere di prenderne atto. Non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona”, 10 gennaio 2016 al Tg1;
• “con un gesto di coraggio e dignità ho detto che se si perde il referendum smetto di fare politica”, 12 gennaio 2016;
• “ho già preso il solenne impegno, se perderemo il referendum lascio la politica”, 15 gennaio 2016;
• “se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza perché credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica”, 20 gennaio 2016, discorso Al Senato della Repubblica;
• “non prendiamo in giro la gente, io non sono come gli altri, se perdo su una cosa così grande è bene che vada a casa”, 22 gennaio 2016;
• “Io non sono come gli altri, non posso restare aggrappato alla politica. Se sulle riforme gli italiani diranno No prenderò la mia borsettina e tornerò a casa”, 25 gennaio 2016, intervista rilasciata durante la trasmissione televisiva Quinta Colonna;
• “Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica” 12 marzo 2016, alla scuola di formazione del Pd;
• “Io ho già la mia clessidra girata. Se mi va come spero, finisco tra meno di 7 anni. Se mi va male, se perdo la sfida della credibilità o il referendum del 2016, vado via subito e non mi vedete più. Ci hanno detto che siamo attaccati alle poltrone, ma noi siamo attaccati alle idee: non c’e’ un leader che resta per sempre”, 20 marzo 2016, al congresso dei Giovani Democratici;
• “La domanda di ottobre non riguarda il governo ma riguarda se si vuol cambiare la Carta e rendere più semplice la politica. Se noi saremo bravi a spiegare le nostre ragioni otterremo un consenso ma il voto sulla persona non c’entra niente. Certo io se perdo vado a casa”, 18 aprile 2016, intervista al Tg1;
• “La rottamazione non vale solo quando si voleva noi…. Se non riesco vado a casa”, 2 maggio 2016, Ansa;
• “Se io perdo, con che faccia rimango. Ma non è che vado a casa, smetto di fare politica. Non è personalizzazione ma serietà. Lo so che si aggrappano alla poltrona ma non posso fare finta di niente”, 8 maggio 2016 intervista alla trasmissione Che tempo che fa;
• “Non sto in paradiso a dispetto dei santi. Se perdo, non finisce solo il governo ma finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro”, 11 maggio 2016, Ansa;
• “Se lo vinciamo, l’Italia diventerà un paese più stabile. Se lo perdiamo, vado a casa. Per serietà. Non resto aggrappato alla poltrona. Questa è personalizzazione? No. Questa e’ serietà”, 21 maggio 2016 a L’Eco di Bergamo
• “Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico. Il nostro piano B è che verranno altri e noi andremo via”. “Anche io lascio se Renzi se ne va: ci assumiamo insieme la responsabilità. Abbiamo creduto e lavorato insieme ad uno stesso progetto politico”, Maria Elena Boschi a In mezz’ora, 22 maggio 2016
• “Non si lascia la politica se vince il no per fare un dispetto, non si scappa con la palla in mano. E’ una questione di serieta’, banalmente”. “Io ho preso l’impegno di cambiare questo Paese ed è giusto che, se non lo mantengo, vada a casa. Non la vedrei come una personalizzazione del referendum ne’ un ricatto”, Ernesto Crbone Ansa, 22 maggio 2016;
• Il ritiro in caso di vittoria del no “non è una minaccia, non è una personalizzazione. A me sembra una con-sta-ta-zio-ne. Questo governo, ed è agli atti, nasce per fare le riforme. Se le riforme non si fanno chiude bottega il governo e chiude anche la legislatura, mi pare ovvio. Anche perché non stiamo scegliendo tra due riforme diverse, che è il tema più surreale usato da alcuni costituzionalisti. Stiamo scegliendo tra la riforma e niente”, Dario Franceschini, intervista a la Repubblica 29 maggio 2016.
http://video.repubblica.it/dossier/governo-renzi/renzi-se-perdo-referendum-su-riforma-costituzionale-lascio-la-politica/224643/223904n ,
http://it.blastingnews.com/politica/2016/12/renzi-se-perdo-lascio-la-politica-elenco-di-un-anno-di-post-verita-video-001321317.html
http://www.huffingtonpost.it/2016/12/13/vince-no-lascio-politica_n_13600098.html
Confesso che a me della carriera politica di Renzi & Co interessa molto poco, il lungo preambolo è utile per sottolineare la coerenza e l’affidabilità di quelle figure apicali delle istituzioni (spesso definiti talenti e veri leaders) che dichiarano solennemente di assumere un impegno di fronte alla popolazione della nazione e un attimo dopo rimangiano la parola data, senza che si rendano conto dei danni che provocano a un quadro politico che avrebbe bisogno di tutt’altra tensione morale. Renzi, peraltro, non è nuovo nel disattendere impegni pubblici. Anche qui ci sarebbe un lungo elenco di promesse a vuoto (reperibile sul web), valga per tutte il tristemente noto “Enrico stai sereno” oppure “Io Premier? Si, ma passando dalle elezioni e senza inciuci”. Sappiamo come la storia si è evoluta.
La coerenza in politica per me è un valore assoluto da cui non si può prescindere e il principio è tanto stringente quanto più è elevato il ruolo istituzionale e in un momento dove è dilagante il qualunquismo.
Un impegno politico assunto pubblicamente e poi disatteso non scalfisce solo la credibilità personale, ma è una iattura per l’interon quadro politico poiché offre agli elettori ulteriori motivi di sfiducia e rende più profondo il fossato che si è creato tra istituzioni e popolazione.
A proposito del mancato ritiro di Renzi dalla politica, mi è capitato di ascoltare il ministro Delrio, che rispondeva a un giornalista, giustificare il comportamento dell’ex presidente del consiglio asserendo che il mancato ritiro a vita privata è dovuto alle pressioni delle persone a lui vicino che gli hanno chiesto di rimanere alla guida del Pd e Renzi avrebbe accettato in ossequio a doveri di fedeltà al partito. Ecco un fulgido esempio di sciatteria politica: Renzi, quindi, rimane segretario del Pd con la volontà di ricandidarsi alla guida dello stesso partito e del paese per puro spirito di sacrificio. Non so se Graziano Delrio se n’è accorto ma ha, ancora una volta, schiaffeggiato il senso comune affermando, di fatto, che ha più valore la fedeltà a una cerchia di amici e non un impegno assunto con gli elettori.
Tra i tanti motivi alla base della disaffezione dell’elettorato al Partito democratico c’è anche la protervia di simili atteggiamenti.
Se non si capisce che quegli elettori hanno emesso una sentenza chiarissima il 4 dicembre 2016 che sconfessa tutta la piattaforma politica del renzismo, se ci si rifiuta di ammettere un fallimento che ai più era evidente già agli albori dei “mille giorni”, se pervicacemente si inseguono chimere neocentriste, se non di destra, la politica tutta, non solo Renzi, ne uscirà sconfitta.
Sarò nostalgico ma sono ancora convinto che l’antipolitica e il qualunquismo si possono sconfiggere con più partecipazione, con più politica, con partiti strutturati e rappresentativi, con più militanti e non “meno politici” come recitava un manifesto a sostegno del Si al referendum del 4 dicembre.
18 gennaio 2017
Bene, alla luce dell’impostazione della campagna referendaria, il risultato del 4 dicembre ha sancito una sonora bocciatura per Renzi, per il Pd e per il governo. Ciononostante e a distanza di oltre quaranta giorni dalla sconfitta senza appello, Renzi, dimessosi da Palazzo Chigi, rimane alla guida del Partito Democratico e sembra non abbia ben compreso la portata della sua bocciatura da parte dell’elettorato italiano, non è solo un’ipotesi una sua candidatura alle prossime elezioni.
Naturalmente niente ritiro dalla scena pubblica neanche per gli altri: Maria Elena Boschi è diventata Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel governo Gentiloni, Dario Franceschini è stato confermato Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, delle annunciate dimissioni dell’onorevole Carbone non si hanno notizie.
Per ascoltare, o leggere, le dichiarazioni di Renzi e degli altri basta fare una ricerca sul web dove si potranno visionare filmati e articoli di stampa.
Riporto un elenco certamente parziale delle tante dichiarazioni per mera comodità di lettura:
• “È del tutto evidente che se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza in politica”, 29 dicembre 2015, conferenza stampa di fine anno;
• “Il referendum non è un plebiscito ma è giusto che la parola passi ai cittadini. Per anni la classe politica non ha fatto niente. Adesso è arrivato un governo nuovo che ha cercato di realizzare alcune cose. Se sulla madre di queste battaglie, che è la riforma costituzionale, i cittadini non sono d’accordo, hanno tutto il diritto di dirlo ed io ho il dovere di prenderne atto. Non sono un politico vecchia maniera che resta attaccato alla poltrona”, 10 gennaio 2016 al Tg1;
• “con un gesto di coraggio e dignità ho detto che se si perde il referendum smetto di fare politica”, 12 gennaio 2016;
• “ho già preso il solenne impegno, se perderemo il referendum lascio la politica”, 15 gennaio 2016;
• “se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza perché credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica”, 20 gennaio 2016, discorso Al Senato della Repubblica;
• “non prendiamo in giro la gente, io non sono come gli altri, se perdo su una cosa così grande è bene che vada a casa”, 22 gennaio 2016;
• “Io non sono come gli altri, non posso restare aggrappato alla politica. Se sulle riforme gli italiani diranno No prenderò la mia borsettina e tornerò a casa”, 25 gennaio 2016, intervista rilasciata durante la trasmissione televisiva Quinta Colonna;
• “Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica” 12 marzo 2016, alla scuola di formazione del Pd;
• “Io ho già la mia clessidra girata. Se mi va come spero, finisco tra meno di 7 anni. Se mi va male, se perdo la sfida della credibilità o il referendum del 2016, vado via subito e non mi vedete più. Ci hanno detto che siamo attaccati alle poltrone, ma noi siamo attaccati alle idee: non c’e’ un leader che resta per sempre”, 20 marzo 2016, al congresso dei Giovani Democratici;
• “La domanda di ottobre non riguarda il governo ma riguarda se si vuol cambiare la Carta e rendere più semplice la politica. Se noi saremo bravi a spiegare le nostre ragioni otterremo un consenso ma il voto sulla persona non c’entra niente. Certo io se perdo vado a casa”, 18 aprile 2016, intervista al Tg1;
• “La rottamazione non vale solo quando si voleva noi…. Se non riesco vado a casa”, 2 maggio 2016, Ansa;
• “Se io perdo, con che faccia rimango. Ma non è che vado a casa, smetto di fare politica. Non è personalizzazione ma serietà. Lo so che si aggrappano alla poltrona ma non posso fare finta di niente”, 8 maggio 2016 intervista alla trasmissione Che tempo che fa;
• “Non sto in paradiso a dispetto dei santi. Se perdo, non finisce solo il governo ma finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro”, 11 maggio 2016, Ansa;
• “Se lo vinciamo, l’Italia diventerà un paese più stabile. Se lo perdiamo, vado a casa. Per serietà. Non resto aggrappato alla poltrona. Questa è personalizzazione? No. Questa e’ serietà”, 21 maggio 2016 a L’Eco di Bergamo
• “Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico. Il nostro piano B è che verranno altri e noi andremo via”. “Anche io lascio se Renzi se ne va: ci assumiamo insieme la responsabilità. Abbiamo creduto e lavorato insieme ad uno stesso progetto politico”, Maria Elena Boschi a In mezz’ora, 22 maggio 2016
• “Non si lascia la politica se vince il no per fare un dispetto, non si scappa con la palla in mano. E’ una questione di serieta’, banalmente”. “Io ho preso l’impegno di cambiare questo Paese ed è giusto che, se non lo mantengo, vada a casa. Non la vedrei come una personalizzazione del referendum ne’ un ricatto”, Ernesto Crbone Ansa, 22 maggio 2016;
• Il ritiro in caso di vittoria del no “non è una minaccia, non è una personalizzazione. A me sembra una con-sta-ta-zio-ne. Questo governo, ed è agli atti, nasce per fare le riforme. Se le riforme non si fanno chiude bottega il governo e chiude anche la legislatura, mi pare ovvio. Anche perché non stiamo scegliendo tra due riforme diverse, che è il tema più surreale usato da alcuni costituzionalisti. Stiamo scegliendo tra la riforma e niente”, Dario Franceschini, intervista a la Repubblica 29 maggio 2016.
http://video.repubblica.it/dossier/governo-renzi/renzi-se-perdo-referendum-su-riforma-costituzionale-lascio-la-politica/224643/223904n ,
http://it.blastingnews.com/politica/2016/12/renzi-se-perdo-lascio-la-politica-elenco-di-un-anno-di-post-verita-video-001321317.html
http://www.huffingtonpost.it/2016/12/13/vince-no-lascio-politica_n_13600098.html
Confesso che a me della carriera politica di Renzi & Co interessa molto poco, il lungo preambolo è utile per sottolineare la coerenza e l’affidabilità di quelle figure apicali delle istituzioni (spesso definiti talenti e veri leaders) che dichiarano solennemente di assumere un impegno di fronte alla popolazione della nazione e un attimo dopo rimangiano la parola data, senza che si rendano conto dei danni che provocano a un quadro politico che avrebbe bisogno di tutt’altra tensione morale. Renzi, peraltro, non è nuovo nel disattendere impegni pubblici. Anche qui ci sarebbe un lungo elenco di promesse a vuoto (reperibile sul web), valga per tutte il tristemente noto “Enrico stai sereno” oppure “Io Premier? Si, ma passando dalle elezioni e senza inciuci”. Sappiamo come la storia si è evoluta.
La coerenza in politica per me è un valore assoluto da cui non si può prescindere e il principio è tanto stringente quanto più è elevato il ruolo istituzionale e in un momento dove è dilagante il qualunquismo.
Un impegno politico assunto pubblicamente e poi disatteso non scalfisce solo la credibilità personale, ma è una iattura per l’interon quadro politico poiché offre agli elettori ulteriori motivi di sfiducia e rende più profondo il fossato che si è creato tra istituzioni e popolazione.
A proposito del mancato ritiro di Renzi dalla politica, mi è capitato di ascoltare il ministro Delrio, che rispondeva a un giornalista, giustificare il comportamento dell’ex presidente del consiglio asserendo che il mancato ritiro a vita privata è dovuto alle pressioni delle persone a lui vicino che gli hanno chiesto di rimanere alla guida del Pd e Renzi avrebbe accettato in ossequio a doveri di fedeltà al partito. Ecco un fulgido esempio di sciatteria politica: Renzi, quindi, rimane segretario del Pd con la volontà di ricandidarsi alla guida dello stesso partito e del paese per puro spirito di sacrificio. Non so se Graziano Delrio se n’è accorto ma ha, ancora una volta, schiaffeggiato il senso comune affermando, di fatto, che ha più valore la fedeltà a una cerchia di amici e non un impegno assunto con gli elettori.
Tra i tanti motivi alla base della disaffezione dell’elettorato al Partito democratico c’è anche la protervia di simili atteggiamenti.
Se non si capisce che quegli elettori hanno emesso una sentenza chiarissima il 4 dicembre 2016 che sconfessa tutta la piattaforma politica del renzismo, se ci si rifiuta di ammettere un fallimento che ai più era evidente già agli albori dei “mille giorni”, se pervicacemente si inseguono chimere neocentriste, se non di destra, la politica tutta, non solo Renzi, ne uscirà sconfitta.
Sarò nostalgico ma sono ancora convinto che l’antipolitica e il qualunquismo si possono sconfiggere con più partecipazione, con più politica, con partiti strutturati e rappresentativi, con più militanti e non “meno politici” come recitava un manifesto a sostegno del Si al referendum del 4 dicembre.
18 gennaio 2017
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