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25 maggio 2017

Oroferne – Costantino Kavafis



Oroferne – Costantino Kavafis

Questi, che qui sul tetradrammo ha il volto
– come sembra – schiarito dal sorriso,
il volto bello e fine,
questi è Oroferne figlio di Ariarato.
Bambino, lo cacciarono via dalla Cappadocia,
dalla gran reggia avita;
lo mandarono a farsi grande là,
nella Ionia, sperduto fra stranieri.

Eccelse notti della Ionia, dove
senza paure, alla maniera greca,
conobbe la pienezza del piacere!

Asiatico nel cuore; ma nei modi
e nella sua favella, greco,
adorno di turchesi, e vestito alla greca,
fragrante d’un aroma di gelsomino il corpo,
e, fra i giovani belli della Ionia,
bello della bellezza più ideale.

Come entrarono i Siri in Cappadocia
e lo fecero re,
nel regno s’ingolfò con impeto,
per godere ogni giorno in modo nuovo,
per arraffare avidamente argento e oro,
e pompeggiarsi in una gran letizia
rimirando i tesori luccicare.
Quanto alle cure del paese e del governo,
non sapeva neppure che cosa succedeva.
I Cappàdoci presto lo scacciarono:
riparò in Siria, nella reggia di Demetrio,
a dissipare la vita, a poltrire.

Ma un giorno fu riscossa quell’ignavia
da cure inusitate. Si sovvenne
che per parte di sua madre Antiochide
e di quella vetusta Stratonice
teneva anch’egli del sangue reale
della Siria, un Selèucide era quasi.
Dalle lascivie e dall’ebbrezza emerse,
per poco; e goffo, come trasognato,
qualche cosa cercò di macchinare,
qualche cosa di fare, o vagheggiare.
Fallì miseramente: annichilito.

In qualche posto, forse, fu scritta la sua fine
E s’è persa. O la storia l’ha taciuta,
e a buon diritto non ha perso tempo
con un vento di sì scarso peso.

Questi, di cui sul tetradrammo resta
un’orma della bella giovinezza,
della grazia poetica una luce,
e la memoria morbida d’un ragazzo di Ionia,
quesi è Oroferne figlio d’Ariarato.

Trad. Filippo Maria Pontani

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