Andrew Wyeth - November First
I tipi esili – Sylvia Plath
Sono sempre fra noi, questi tipi esili
senza dimensione come le figure grige
su uno schermo. Sono,
diciamo, irreali:
fu in un film, fu soltanto
in una guerra dalle sinistre notizie, quando
eravamo piccoli, che essi a forza di fame
divennero così smunti e poi non rimpolparono
le loro filiformi membra benché la pace
rimpinguasse le pance dei topi
sotto la più misera delle mense.
Fu durante la lunga battaglia della fame
che scoprirono il loro talento a perseverare
in esilità, per venire, più tardi,
nei nostri brutti sogni, minacciando
non con fucili, non con prepotenze,
ma con un esile silenzio.
Avvolti in pulciose pelli di somaro,
senza lagnarsi, pur sempre bevendo aceto
da bicchieri di latta: circonfusi
dall’insostenibile aureola dei segnati
capri espiatori. Ma una vita così esile,
così sparuta razza non poteva restare nei sogni,
non poteva restare razza di estranee vittime
nell’angusta contrada della testa
più di quanto la strega nel suo tugurio di fango
potesse fare a meno di tagliare la polpa
dal fianco della generosa luna quando
notturnamente passava il suo cortile
finchè non l'avesse il suo coltello ridotta
la luna a una buccia di piccola luce.
Ma questi tipi esili non obliterano se stessi,
né spariscono, quando il grigiore
dell’alba s’inazzurra, s’arrossa, e il profilo
del mondo diventa chiaro e si riempie di colore.
Persistono nella stanza assolata: il fregio
del parato a rose e fiordalisi sbiadisce
sotto i loro sorrisi di esili labbra,
loro languente affinità.
Come si sostengono a vicenda!
Non abbiamo un deserto ricco e profondo abbastanza
per far da baluardo contro i loro
tenaci battaglioni. Guardate, anche i tronchi
d’albero s’appiattiscono e il loro bel marrone se ne va,
se appena costoro si impuntano nella foresta
riducendo anche il mondo all’esilità di un nido di vespe
e più grigio; senza nemmeno spostare le loro ossa.
traduzione di Giovanni Giudici
Sono sempre fra noi, questi tipi esili
senza dimensione come le figure grige
su uno schermo. Sono,
diciamo, irreali:
fu in un film, fu soltanto
in una guerra dalle sinistre notizie, quando
eravamo piccoli, che essi a forza di fame
divennero così smunti e poi non rimpolparono
le loro filiformi membra benché la pace
rimpinguasse le pance dei topi
sotto la più misera delle mense.
Fu durante la lunga battaglia della fame
che scoprirono il loro talento a perseverare
in esilità, per venire, più tardi,
nei nostri brutti sogni, minacciando
non con fucili, non con prepotenze,
ma con un esile silenzio.
Avvolti in pulciose pelli di somaro,
senza lagnarsi, pur sempre bevendo aceto
da bicchieri di latta: circonfusi
dall’insostenibile aureola dei segnati
capri espiatori. Ma una vita così esile,
così sparuta razza non poteva restare nei sogni,
non poteva restare razza di estranee vittime
nell’angusta contrada della testa
più di quanto la strega nel suo tugurio di fango
potesse fare a meno di tagliare la polpa
dal fianco della generosa luna quando
notturnamente passava il suo cortile
finchè non l'avesse il suo coltello ridotta
la luna a una buccia di piccola luce.
Ma questi tipi esili non obliterano se stessi,
né spariscono, quando il grigiore
dell’alba s’inazzurra, s’arrossa, e il profilo
del mondo diventa chiaro e si riempie di colore.
Persistono nella stanza assolata: il fregio
del parato a rose e fiordalisi sbiadisce
sotto i loro sorrisi di esili labbra,
loro languente affinità.
Come si sostengono a vicenda!
Non abbiamo un deserto ricco e profondo abbastanza
per far da baluardo contro i loro
tenaci battaglioni. Guardate, anche i tronchi
d’albero s’appiattiscono e il loro bel marrone se ne va,
se appena costoro si impuntano nella foresta
riducendo anche il mondo all’esilità di un nido di vespe
e più grigio; senza nemmeno spostare le loro ossa.
traduzione di Giovanni Giudici
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