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26 giugno 2017

I tipi esili – Sylvia Plath

Andrew Wyeth - November First

I tipi esili – Sylvia Plath

Sono sempre fra noi, questi tipi esili
senza dimensione come le figure grige

su uno schermo. Sono,
diciamo, irreali:

fu in un film, fu soltanto
in una guerra dalle sinistre notizie, quando

eravamo piccoli, che essi a forza di fame
divennero così smunti e poi non rimpolparono

le loro filiformi membra benché la pace
rimpinguasse le pance dei topi

sotto la più misera delle mense.
Fu durante la lunga battaglia della fame

che scoprirono il loro talento a perseverare
in esilità, per venire, più tardi,

nei nostri brutti sogni, minacciando
non con fucili, non con prepotenze,

ma con un esile silenzio.
Avvolti in pulciose pelli di somaro,

senza lagnarsi, pur sempre bevendo aceto
da bicchieri di latta: circonfusi

dall’insostenibile aureola dei segnati
capri espiatori. Ma una vita così esile,

così sparuta razza non poteva restare nei sogni,
non poteva restare razza di estranee vittime

nell’angusta contrada della testa
più di quanto la strega nel suo tugurio di fango

potesse fare a meno di tagliare la polpa
dal fianco della generosa luna quando

notturnamente passava il suo cortile
finchè non l'avesse il suo coltello ridotta

la luna a una buccia di piccola luce.
Ma questi tipi esili non obliterano se stessi,

né spariscono, quando il grigiore
dell’alba s’inazzurra, s’arrossa, e il profilo

del mondo diventa chiaro e si riempie di colore.
Persistono nella stanza assolata: il fregio

del parato a rose e fiordalisi sbiadisce
sotto i loro sorrisi di esili labbra,

loro languente affinità.
Come si sostengono a vicenda!

Non abbiamo un deserto ricco e profondo abbastanza
per far da baluardo contro i loro

tenaci battaglioni. Guardate, anche i tronchi
d’albero s’appiattiscono e il loro bel marrone se ne va,

se appena costoro si impuntano nella foresta
riducendo anche il mondo all’esilità di un nido di vespe

e più grigio; senza nemmeno spostare le loro ossa.

traduzione di Giovanni Giudici

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