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10 giugno 2017

Un’antifona - Cécile A. Holdban

Fernando Botero - La strada
Un’antifona - Cécile A. Holdban

Dallo specchio spezzato,
e dall’acqua nera delle città
venga la neve, venga l’angelo.

Un giorno un uccello volle diventare uomo e so lanciò
dalla cima d’un alto parapetto
per imparare il dolore
del vivere senza ali.

Poco soccorso nel vuoto delle cellule
degli umani alveari
poco giorno bucando le mura e gli strati della troppa materia
gli uomini trascinano le loro bestie in uno slancio di paura della pelle
gli organi dei loro corpi bucati, fragili, deperibili
gli uomini senza le bestie, svestiti del loro nome di bestia
costruiscono nidi strani e cupi
dove si spegne la vita nell’odore dolciastro d’una candela.

Ma arriva l’angelo, senza le sue ali
in un cielo segnato da rughe
arriva, fiocco purissimo
fruscia sino a noi il suo nome amoroso
candore d’alba, candore senza fine
porta sino a noi
il desiderio di stella.

Ecco la mia vita da molto tempo.

Nelle mie mani, soffi
fiori di soffione
e poiché sono qui, so
dove vanno tutte queste parole
d’api all’alveare, di trote alla fonte,
di rondini ai tetti,
è abbastanza
che si screpoli il giorno
anche infinitamente
come un olio troppo spesso
un Turner dal sole bianco:

Allora entra la notte
goccia dopo goccia dietro i miei occhi
e soffia vento, grandi alberi mobili,
un fragore d’ali nel silenzio.
Devi, per raggiungermi
scendere in un caos di linee
lunghe scale di pietra.

Nei colori lievi del fuoco
porto il rosso da poggiarti alla bocca
sospeso alle arterie del mio cuore
l’albero di Giuda è in fiore

battito sotto la polpa d’ogni dito
la tua mano liscia la fremente pelle dell’acqua
gocce scintillano e si staccano
sino alle vallette, ai fiumi in piena

ti giungo come l’acqua
nelle foglie d’un verde così vivo
ch’è già amare il morderle

in primavera le morte stelle vivono
ancora una stagione. Le dita sembrano.

È la tua voce che abbrevia la montagna
il suo rauco canto di pietre
e la neve illuminando la fonte
da dove si slancia la mia voce.

Nascerò una seconda volta stasera.
Mi sto preparando. Duole.
In un giardino dove sono cresciuta
le palme a vento, trachycarpus, draghi con squame
girano piano su sé stessi
è sempre maturo a puntino il cielo
gli occhi rubini dei ribes aprono palpebre a migliaia
balzano i cosmi, abbagliati.
Tu dove sei?
Sepolto per sesmpre... Sino a stasera.
Conosco il posto esatto
dove in sogno sei morto
ai piedi del tasso con bacche scarlatte
un tumulo di terra dove più nulla è cresciuto.
Qui dorme il mio cuore.

Sotto gli alberi i lumi hanno squaglie di serpente
un cedro bagna la sua ombra nel fuoco
c’è nel fuoco il ricordo
dell’oceano
sparpagliate conchiglie di frutti di mare
fossili ed impronte di stelle
intorno al fuoco
diventiamo guardiani e Dei
d’una genesi nuova.



traduzione dal francese di Thierry Gillyboeuf

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