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11 luglio 2017

da Elena – Ghiannis Ritsos

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da Elena – Ghiannis Ritsos

(…)
Non vuoi che suoni il campanello perché ti portino qualcosa? – Un po’ di visciolata
o di melangoli canditi – dev’essere rimasto qualcosa nei grandi vasi
incrostato di zucchero, rappreso – naturalmente se l’hanno risparmiato
quelle ingorde delle ancelle. In questi ultimi anni mi dedicavo da sola
a fare confetture – che cos’altro fare?
Dopo Troia – la nostra vita a Sparta
era così noiosa – l’autentica provincia: chiusi tutto il giorno in casa,
tra i bottini ammassati di tante guerre; e i ricordi,
sbiaditi e importuni, che ti si trascinano dietro, nello specchio
quando ti pettini i capelli o, in cucina, provenienti
dai vapori grassi della pentola; e nel gorgoglio dell’acqua che bolle risentire
certi esametri dattilici del Terzo Canto
mentre dal pollaio del vicino s’ode il canto sconnesso di un gallo.

La conosci bene la monotonia della nostra vita. Perfino i giornali
simili nel formato, nello spessore, nei titoli – non li leggo nemmeno più. Di tanto in tanto
bandiere sui balconi, feste nazionali, parate militari,
come caricate a molla; – soltanto la cavalleria conservava qualcosa d’improvvisato,
di personale – forse grazie ai cavalli. Sollevavano nuvole di polvere;
chiudevamo le finestre; – dover poi stare a spolverare uno per uno
vasi, scatolette, cornici, statuette di porcellana, specchi, buffè.

Non andavo più alle cerimonie. Mio marito tornava in un bagno di sudore,
si gettava sul cibo schioccando le labbra, e insieme rimuginando
antiche glorie uggiose e rancori sopiti. Io osservavo
i bottoni del suo gilè sul punto di staccarsi – era ingrassato molto.
Una grande macchia livida gli balenava sotto il mento.

Allora mi afferravo il mento, continuando a mangiare distrattamente,
avvertendo nella mano i movimenti della mascella
come fosse staccata dalla testa e la reggessi nuda in mano.
Forse perciò sono ingrassata anch’io. Non so. Tutti parevano spaventati –
li vedevo ogni tanto dietro i vetri; – camminavano di traverso
come se zoppicassero, come se nascondessero qualcosa sotto il braccio. Il pomeriggio
suonavano a morto le campane. I mendicanti bussavano alle porte. Giù in fondo
la facciata di calce della Maternità, all’imbrunire, sembrava ancora più bianca,
più lontana e incomprensibile. Accendevamo presto le lampade. Aggiustavo
qualche mio vecchio abito. Poi si guastò anche la macchina per cucire; la trasportarono
giù in cantina assieme a quelle vecchie romantiche pitture a olio
con scene mitologiche banali – Anadiomeni, Aquile e Ganimedi.
(…)

da Elena - Traduzione di Nicola Crocetti - Quarta dimensione

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