Opera di Piero Rasero
da Feria d’agosto – Cesare Pavese
La Langa
Io sono un uomo molto
ambizioso e lasciai da giovane il mio paese, con l'idea fissa di diventare
qualcuno. Il mio paese sono quattro baracche e un gran fango, ma lo attraversa
lo stradone provinciale dove giocavo da bambino. Siccome - ripeto - sono
ambizioso, volevo girar tutto il mondo e, giunto nei siti più lontani, voltarmi
e dire in presenza di tutti: «Non avete mai sentito nominare quei quattro
tetti? Ebbene, io vengo di là! » Certi giorni, studiavo con più attenzione del
solito il profilo della collina, poi chiudevo gli occhi e mi fingevo di essere
già per il mondo a ripensare per filo e per segno al noto paesaggio.
Così, andai per il
mondo e vi ebbi una certa fortuna. Non posso dire di essere, più di un altro,
diventato qualcuno, perché conobbi tanti che - chi per un motivo chi per un
altro - sono diventati qualcuno, che, se fossi ancora in tempo, smetterei
volentieri di arrovellarmi dietro a queste chimere. Attualmente la mia
ambizione sempre insonne mi suggerirebbe di distinguermi, se mai, con la
rinuncia, ma non sempre si può fare ciò che si vorrebbe. Basti dire che vissi
in una grande città e feci perfino molti viaggi per mare e, un giorno che mi
trovavo all'estero, fui lì lì per sposare una ragazza bella e ricca, che aveva
le mie stesse ambizioni e mi voleva un gran bene. Non lo feci, perché avrei
dovuto stabilirmi laggiù e rinunciare per sempre alla mia terra.
Un bel giorno tornai
invece a casa e rivisitai le mie colline. Dei miei non c'era più nessuno, ma le
piante e le case restavano, e anche qualche faccia nota. Lo stradone
provinciale e la piazzetta erano molto più angusti di come me li ricordavo, più
terra terra, e soltanto il profilo lontano della collina non aveva scapitato.
Le sere di quell'estate, dal balcone dell'albergo, guardai sovente la collina e
pensai che in tutti quegli anni non mi ero ricordato di inorgoglirmene come
avevo progettato. Mi accadeva se mai, adesso, di vantarmi con vecchi compaesani
della molta strada che avevo fatta e dei porti e delle stazioni dov'ero
passato. Tutto questo mi dava una malinconia che da un pezzo non provavo più ma
che non mi dispiaceva.
In questi casi ci si
sposa, e la voce della vallata era infatti ch'io fossi tornato per scegliermi
una moglie. Diverse famiglie, anche contadine, si fecero visitare perché
vedessi le figliole. Mi piacque che in nessun caso cercarono di apparirmi
diversi da come li ricordavo: i campagnoli mi condussero alla stalla e
portarono da bere nell'aia, i borghesi mi accolsero nel salottino disusato e
stemmo seduti in cerchio fra le tendine pesanti mentre fuori era estate.
Neanche questi tuttavia mi delusero: accadeva che in certe figliole che
scherzavano imbarazzate riconoscessi le inflessioni e gli sguardi che mi erano
balenati dalle finestre o sulle soglie quand'ero ragazzo. Ma tutti dicevano
ch'era una bella cosa ricordarsi del paese e ritornarci come facevo io, ne
vantavano i terreni, ne vantavano i raccolti e la bontà della gente e del vino.
Anche l'indole dei paesani, un'indole singolarmente fegatosa e taciturna,
veniva citata e illustrata interminabilmente, tanto da farmi sorridere.
Io non mi sposai.
Capii subito che se mi fossi portata dietro in città una di quelle ragazze,
anche la più sveglia, avrei avuto il mio paese in casa e non avrei mai più
potuto ricordarmelo come adesso me n'era tornato il gusto. Ciascuna di loro,
ciascuno di quei contadini e possidenti, era soltanto una parte del mio paese,
rappresentava una villa, un podere, una costa sola. E invece io ce l'avevo
nella memoria tutto quanto, ero io stesso il mio paese: bastava che chiudessi
gli occhi e mi raccogliessi, non più per dire «Conoscete quei quattro tetti?»,
ma per sentire che il mio sangue, le mie ossa, il mio respiro, tutto era fatto
di quella sostanza e oltre me e quella terra non esisteva nulla.
Non so chi ha detto
che bisogna andar cauti, quando si è ragazzi, nel fare progetti, poiché questi
si avverano sempre nella maturità. Se questo è vero, una volta di più vuol dire
che tutto il nostro destino è già stampato nelle nostre ossa, prima ancora che
abbiamo l'età della ragione.
Io, per me, ne sono
convinto, ma penso a volte che è sempre possibile commettere errori che ci
costringeranno a tradire questo destino. È per questo che tanta gente sbaglia
sposandosi. Nei progetti del ragazzo non c'è evidentemente mai nulla a questo
proposito, e la decisione va presa a tutto rischio del proprio destino. Al mio
paese, chi s'innamora viene canzonato; chi si sposa, lodato, quando non muti in
nulla la sua vita.
Ripresi dunque a
viaggiare, promettendo in paese che sarei tornato presto. Nei primi tempi lo
credevo, tanto le colline e il dialetto mi stavano nitidi nel cervello. Non
avevo bisogno di contrapporli con nostalgia ai miei ambienti consueti. Sapevo
ch'erano lì, e soprattutto sapevo ch'io venivo di là, che tutto ciò che di
quella terra contava era chiuso nel mio corpo e nella mia coscienza. Ma ormai
sono passati degli anni e ho tanto rimandato il mio ritorno che quasi non oso
più prendere quel treno. In mia presenza i compaesani capirebbero che li ho
giocati, che li ho lasciati discorrere delle virtù della mia terra soltanto per
ritrovarla e portarmela via. Capirebbero adesso tutta l'ambizione del ragazzo
che avevano dimenticato.
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