Menelao
da Omero, Iliade - Alessandro Baricco
Patroclo
(…)
"Troiani, se n'è
andato colui che oggi era il più forte! ", si mise a gridare Ettore. "Adesso
tocca a noi raccogliere la nostra gloria. Spronate i cavalli, e scagliatevi contro
gli Achei. Ci aspetta il più grande dei trionfi." E li trascinò tutti
dietro di sé, lanciandosi nella lotta come un vento di tempesta che si abbatte
sul mare violaceo. Era impressionante a vedersi, rotolavano le teste dei
guerrieri achei, una dopo l'altra, sotto la sua spada. Morì Aseo, per primo, e
poi Autınoo e Opite, e Dìlope, figlio di Clito, e Ofıltio, e Agılao, Esimno,
Oro e Ippınoo, il valoroso. E tanti altri senza nome, in mezzo alla mischia. Rotolavano
le teste come rotolano enormi ondate, nella bufera, quando alta ribolle la
schiuma del mare, sotto il vento impetuoso.
Era la fine. Sembrava
la fine, per noi. In mezzo alla fuga degli Achei, si fermò Ulisse e vedendo
Diomede non lontano da lui prese a gridargli "Diomede, maledizione, cosa succede?,
abbiamo dimenticato la nostra forza e il nostro coraggio? Vieni qui, a combattere
di fianco a me, non vorrai mica fuggire?". "Io non fuggo", gli
rispose Diomede, mentre con un colpo di lancia sbalzava dal carro Timbreo,
ammazzandolo. "Io non fuggo, ma senza l'aiuto del cielo non usciremo vivi
da qui." Si misero a combattere insieme e sembravano due cinghiali
superbi, scagliati con rabbia contro una muta di cani da caccia. Gli Achei,
vedendoli, ripresero coraggio e per un attimo le sorti della battaglia parvero
cambiare. Ma anche Ettore li vide. E gridando si gettò tra le schiere, verso di
loro. "La sventura ci sta venendo addosso", disse Diomede a Ulisse.
"Fermiamoci e aspettiamola qui. Se è noi che vuole, ci difenderemo."
Aspettò che Ettore fosse abbastanza vicino, mirò alla testa e scagliò la sua
lancia dalla lunga ombra. La punta di bronzo colpì la cima dell'elmo e rimbalzò
a terra. Ettore fece un passo indietro e cadde in ginocchio, tramortito dal
colpo. E mentre Diomede correva a recuperare la sua lancia, riuscì a rialzarsi,
a salire sul carro e a fuggire in mezzo ai suoi.
"Cane di un
Ettore, sei riuscito ancora una volta a scampare la morte", gli gridò Diomede.
"Ma io ti dico che la prossima volta ti ucciderò, se solo gli dei mi aiuteranno
come oggi hanno aiutato te." E si mise ad ammazzare chiunque gli venisse
sotto tiro. Non avrebbe più smesso, ma da lontano Paride lo vide: stava al riparo
di una colonna, al sepolcro di Ilo: tese il suo arco e tirò. La freccia colpì Diomede
al piede destro, trapassò la carne e si conficcò in terra. "Ti ho colpito,
Diomede! ": era uscito dal nascondiglio, Paride, e adesso gridava, e rideva.
"Peccato solo non averti squarciato il ventre, i Troiani avrebbero smesso
di tremare davanti a te." Rideva.
"Arciere
vigliacco", gli rispose Diomede, "stupido seduttore, vieni qui a
batterti invece di usare da lontano le tue frecce. Mi hai graffiato un piede e
te ne vanti. Ma guardami, della tua ferita non mi importa niente, è come se mi
avesse colpito una donna, o un moccioso. Non te l'hanno insegnato che le frecce
dei vigliacchi son sempre spuntate? Non lo è la mia lancia, che quando colpisce
uccide, le donne diventano vedove, i figli orfani, e i padri corpi a imputridire
per gli avvoltoi." Così gridò. E intanto Ulisse si mise tra lui e i
Troiani, per proteggerlo. Diomede si sedette per terra e si strappò dalla carne
la freccia insanguinata. Tremendo sentì il dolore nel corpo. così dovette
salire sul carro, col cuore pieno di angoscia, e ritirarsi dalla battaglia.
Lo vide allontanarsi,
Ulisse, e si accorse di essere rimasto solo, abbandonato dall'amico e da tutti
i guerrieri achei, che se n'erano scappati per la paura. Intorno a lui c'erano
solo Troiani: erano come cani che accerchiano un cinghiale sbucato dalla
foresta. E Ulisse ebbe paura. Poteva scappare. Ma non lo fece. Con un balzo
saltò addosso a Deiopite e lo colpì. Poi uccise Toone e Ennomo e Chersidamante.
Con un colpo di lancia ferì Còropo, e lo stava finendo quando arrivò di corsa
suo fratello Soco, per difenderlo. Soco scagliò la lancia e la punta di bronzo
attraversò lo scudo di Ulisse e andò a conficcarsi nell'armatura, squarciando
la pelle, sul fianco. Ulisse indietreggiò. Capì che era stato colpito. Sollevò
la lancia. Soco si era già voltato e stava cercando di scappare. Ulisse
scagliò, e la punta di bronzo colpì Soco in mezzo alle spalle,
trapassandogli il
petto. "Non saranno tuo padre e tua madre a chiuderti gli occhi", disse
Ulisse, "Te li strazieranno gli uccelli, tra un fitto battere d'ali."
Poi strinse tra le mani la lancia di Soco e se la strappò dalla carne. Sentì un
dolore tremendo e vide il sangue sprizzare dalla ferita. Lo videro anche i
Troiani e incitandosi a vicenda si strinsero intorno a lui. Allora Ulisse
gridò. Per tre volte, con tutta la forza che aveva in corpo, gridò aiuto.
Aiuto. Aiuto.
Da lontano lo sentì
Menelao. "E la voce di Ulisse." Subito prese Aiace, che era accanto a
lui e disse "Questa è la voce di Ulisse che chiede aiuto, muoviamoci, entriamo
nella mischia e andiamo a salvarlo". Lo trovarono che si batteva come un leone
aggredito da mille sciacalli, tenendo lontana la morte con la lancia. Aiace
corse al suo fianco e Sollevò in alto lo scudo, per proteggerlo. E intanto
Menelao gli si avvicinò e, prendendolo per mano, lo spinse via, verso i carri e
i cavalli che l'avrebbero portato in salvo. Rimase Aiace, a combattere, creando
grande
scompiglio fra i
Troiani. Uccise Dòriclo e poi ferì Pàndoco e ancora Lisandro e Pìraso e
Pilarte: sembrava un fiume in piena, sceso dalle montagne per inondare la pianura
trascinando con sé querce e pini, e fango, fino al mare. Da lontano, si vedeva
il suo immenso scudo oscillare in mezzo alla battaglia. E da lontano lo vide Ettore,
che stava combattendo sul fianco sinistro degli Achei, sulle rive dello Scamandro.
Lo vide e allora fece spronare dall'auriga i cavalli, e puntò dritto verso di lui.
Il carro sfrecciava in mezzo alla battaglia, calpestando cadaveri e scudi; il
sangue schizzava, sotto le ruote e gli zoccoli, fin sulle sponde del carro e
ovunque, intorno. Aiace lo vide arrivare ed ebbe paura. Smarrito, si gettò
sulle spalle l'enorme scudo dalle sette pelli, e iniziò a indietreggiare. Si
guardava intorno come una bestia braccata. Indietreggiava, ma lentamente,
voltandosi di continuo, e poi fermandosi a rispondere ai colpi dei Troiani, e
di nuovo scappando, ma per arrestarsi ancora, voltarsi e lottare, mentre le
lance dei nemici gli piovevano fitte addosso, affamate di carne, andando a
infilzare lo scudo o la terra intorno è lui solo contro tutti, come un leone
costretto a fuggire dalla sua preda, come un asino paziente sotto i colpi dei bambini.
(...)
Nessun commento:
Posta un commento