Ulisse e Diomede rubano i cavalli di Reso dopo averlo ucciso
da Omero, Iliade - Alessandro Baricco
Ulisse e Diomede
Dormivamo tutti,
accanto alle nostre navi, vinti dalla stanchezza. Ma Agamennone, lui, vegliava.
Continuava a pensare, e più pensava più il cuore gli tremava nel petto. Guardava
verso la pianura di Troia, e quello che vedeva erano i fuochi dei Troiani che
ardevano a centinaia: erano così vicini che potevi sentire le voci dei soldati,
e il suono dei flauti e delle zampogne.
Ulisse
Così si alzò,
Agamennone, con l'angoscia nel cuore, si vestì, si mise sulle spalle una pelle
scura di leone, ampia, lunga fino ai piedi, prese la lancia, e se ne andò a
cercare Nestore. Forse lui ce l'aveva un'idea per uscire da quella trappola.
Era il più vecchio, il più saggio. Forse insieme avrebbero trovato un piano per
salvare gli Achei. andò a cercarlo. Nel buio è era notte è incontrò suo
fratello, Menelao. Anche lui non riusciva a dormire. Se ne andava in giro,
impaurito, pensando alla sofferenza cui aveva condannato, lui, tutti gli Achei.
Se ne andava in giro armato, la lancia in pugno, l'elmo sul capo. E una pelle
di pantera maculata, sulle spalle. Si guardarono, i due fratelli.
Diomede
"Che ci fai
sveglio, e armato per giunta?", chiese Menelao. "Cerchi qualcuno da mandare
nell'accampamento troiano, a spiare le loro mosse? Non ti sarı facile trovarlo..."
"Cerco un piano
per salvare gli Achei", rispose Agamennone. "Quel che ha fatto oggi Ettore
io non l'ho mai visto fare da un uomo. Il male che ci ha fatto, non lo dimenticheremo
presto. Temo che i nostri uomini non ci resteranno a lungo fedeli se dovranno
continuare a soffrire così. Ascolta: corri lungo le navi e va' a chiamare Aiace,
e Idomeneo. E dove passi, di' agli uomini di tenersi svegli, e trattali bene,
non parlargli con superbia. Io vado da Nestore, gli chiederò di venire al posto
di guardia e parlare coi soldati, di lui si fideranno."
Ulisse
Menelao corse via, e
Agamennone andò alla tenda di Nestore. Lo trovò sdraiato su un morbido letto.
Accanto a sı teneva le armi, lo scudo, le due lance, l'elmo splendente. E anche
quella cintura variopinta, la metteva sempre quando andava in battaglia, a
guidare i suoi uomini. perché era vecchio, ma non si era fatto piegare dalla
vecchiaia. E combatteva ancora. "Chi sei tu, là, nel buio?", disse
Nestore alzando la testa. "Non avvicinarti, dimmi chi sei."
"Sono
Agamennone, Nestore. Me ne sto qui a camminare nella notte perché sui miei occhi
non scende il sonno soave, mi tormentano il pensiero della guerra e le sofferenze
degli Achei. Ho paura per noi., Nestore, il cuore mi esce dal petto, e le gambe
mi tremano. Perché non vieni con me al posto di guardia, andiamo a controllare
che veglino come si deve: i nemici sono così vicini, e potrebbero attaccare di
nuovo, stanotte."
"Agamennone...
glorioso figlio di Atreo, signore di popoli... perché hai paura?", gli rispose
il vecchio. "Non potrà vincere sempre Ettore, e anzi ti dico che patirà sofferenze
assai più grandi di quelle che ci ha fatto soffrire oggi: dobbiamo solo aspettare
che Achille torni in battaglia... Vieni, andiamo al posto di guardia. Svegliamo
anche gli altri, Diomede, Ulisse, Aiace..." Si avvolse in un mantello di porpora,
ampio e pesante, di lana fitta, e prese la lancia. Se ne andarono, insieme, a cercare
gli altri. Arrivarono da me, per primo.
"Chi è là, nel
buio? Cosa cercate?"
"Non aver paura,
Ulisse. Sono Nestore, e con me c'è Agamennone. Alzati e vieni con noi, dobbiamo
riunirci a consiglio e decidere se scappare o combattere ancora."
Diomede
Me mi trovarono
sdraiato su una pelle di bue, ancora con le armi addosso, circondato dai miei
uomini.
"Diomede,
svegliati! Come fai a dormire con i Troiani accampati a un passo dalle nostre
navi?"
"Ehi, Nestore,
sei davvero terribile, non ti riposi mai, tu? Non c'era qualcuno più giovane da
mandare a svegliare gli Achei uno per uno? Proprio non ti stanchi mai, eh?"
Alla fine arrivammo
tutti al posto di guardia. Lı nessuno dormiva, tutti vegliavano armati. Sempre
rivolti alla pianura, aspettavano di udire arrivare i Troiani. Nestore li guardò
tutto fiero: "Continuate a vegliare così, figli miei: nessuno si faccia
vincere dal sonno, e i nostri nemici non potranno ridere di noi". Poi
scavalcò il fossato e andò a sedersi per terra, in uno spazio sgombro, dove non
c'erano corpi di guerrieri caduti. Era più o meno il punto in cui Ettore si era
fermato quando aveva visto scendere la notte. Noi tutti lo seguimmo lı, e ci
sedemmo.
Ulisse
"Amici",
disse Nestore, "C'è qualcuno di voi così ardito e sicuro di sé da
penetrare nell'accampamento troiano e catturare qualcuno o stare ad ascoltare
quel che dicono, per capire se hanno intenzione di continuare a combattere qui,
sotto le nostre navi, o pensano di tornare a difendersi dentro le mura della
loro città? Se c'è qualcuno capace di fare una cosa del genere e di tornare
sano e salvo, grande sarà la sua gloria tra gli uomini, tutti i principi gli
faranno ricchi doni, e della sua impresa si parlerà in ogni banchetto, in ogni
festa, per sempre."
Diomede
"Io ho il
coraggio e l'audacia", dissi. "Io posso riuscirci. Datemi un compagno
e ce la farò. Se saremo in due avrò anche più coraggio. E due teste sono meglio
di una." Allora tutti si offersero, tutti i principi dissero che erano
disposti a seguirmi. Agamennone mi guardò e mi disse che dovevo scegliere io.
Mi disse anche che non dovevo pensare di offendere nessuno, che scegliessi pure
liberamente, non importava se anche sceglievo uno di stirpe meno nobile,
nessuno si sarebbe offeso. Pensava a Menelao, capite? Aveva paura che
scegliessi il suo fratellino... Ma io dissi: voglio Ulisse. perché ha coraggio
ed è astuto. Se lui viene con me, potremo scampare anche al fuoco e alle
fiamme, perché lui sa usare il cervello.
Ulisse
Si mise a elogiarmi,
davanti agli altri, ma io lo feci smettere. Gli dissi che piuttosto era meglio
affrettarsi e andare:molto cammino avevano fatto le stelle, e l'alba era vicina.
Quel che rimaneva della notte era tutto ciò che avevamo.
Ci vestimmo, con le
armi tremende. A Diomede, Trasimede offrì una spada a doppio taglio e uno
scudo. Merione mi diede arco, faretra e spada. Entrambi indossammo un elmo di
cuoio: nessun bronzo, nessun bagliore che ci tradisse nel buio. Quando ce ne
andammo, sentimmo nella notte il grido di un airone. Pensai che fosse un segno
divino, e che anche questa volta Atena, la splendida dea, fosse con me.
"Fammi tornare sano e salvo alle navi, dea amica, e aiutami a compiere un'impresa
che i Troiani non possano più dimenticare." Correvamo silenziosi nella nera
notte come una coppia di leoni, camminavamo tra mucchi di cadaveri, e ammassi
di armi, e pozze di sangue, nero.
Diomede
Quando d'improvviso
Ulisse mi dice "Diomede, Diomede, senti questo rumore?, c'è qualcuno là,
qualcuno che viene dall'accampamento troiano e sta correndo verso le nostre
navi... fa' silenzio, lasciamolo andare avanti e quando sarà più vicino gli saltiamo
addosso, d'accordo?".
"D'accordo",
dico io.
"E se per caso
cerca di scappare, tagliamogli la strada alle spalle, che non possa più tornare
indietro, spingiamolo lontano da casa sua. Andiamo."
Ulisse
Lasciammo la strada e
ci infilammo tra i campi, dov'era pieno di cadaveri. E subito vedemmo quell'uomo
che correva, proprio davanti a noi. Gli andammo dietro. Lui ci sentì, e si
fermò, forse pensava che fossimo dei Troiani anche noi, qualcuno che era stato
mandato ad aiutarlo. Ma quando arrivammo a un tiro di lancia, capì chi eravamo,
e si mise a scappare. E noi dietro.
Diomede
Come due cani da
caccia. Dietro la preda, senza mollarla mai, nel fitto del bosco, a inseguire
una cerva o una lepre che fugge... Il problema era che quello ormai stava per
arrivare al muro, dritto in bocca alle nostre sentinelle. E questo no, eh? Dopo
tutta quella corsa, poi mi facevo fregare la preda, eh no. così mi metto a
gridare, senza smettere di correre: "Fermati o ti faccio secco con la mia
lancia, giuro, o ti fermi o sei morto!" e scaglio la lancia, mirando un
po' alto, non volevo ucciderlo, volevo farlo fermare, la lancia gli passa sopra
la spalla destra e lui... si ferma. Funziona sempre, quel trucco.
Ulisse
Balbettava, gli
battevano i denti dalla paura. "Non uccidetemi, mio padre pagherà qualsiasi
riscatto. Lui è pieno d'oro, e bronzo, e ferro ben lavorato." Supplicava e
piangeva. Si chiamava Dolone, figlio di Eumede.
Diomede
Io, per me, l'avrei
ucciso. Ma l'ho detto, Ulisse era quello che faceva lavorare il cervello. Così
io sto lì, e Ulisse si mette a interrogarlo. "Smettila di pensare alla morte
e piuttosto dimmi cosa stavi facendo in giro, lontano dal tuo campo. Andavi a togliere
le armi ai cadaveri, o sei una spia mandata da Ettore alle nostre navi per carpire
i nostri segreti?" Lui non smetteva di piangere. "E colpa di Ettore,
è lui che mi ha ingannato. Mi ha promesso in dono il carro e i cavalli di
Achille, giuro, e in cambio mi ha chiesto di correre alle vostre navi e
spiarvi. Voleva sapere se c'erano sentinelle a difendere il campo o se eravate
ormai tutti con il pensiero alla fuga, o addormentati per la stanchezza e il
dolore della battaglia persa." Ulisse si mise a ridere. "I cavalli di
Achille? è questo che vuoi, niente di meno che i cavalli di Achille? Auguri:
non deve essere facile tenerli a freno e guidarli, per un semplice uomo come
te. A stento ci
riesce Achille, che è un semidio..."
Ulisse
Lo facemmo parlare.
Volevamo sapere dov'era Ettore, dove teneva le armi e i cavalli, e cosa aveva
in mente, se attaccare di nuovo o ritirarsi nella città. Dolone aveva paura.
Raccontò tutto, senza nascondere niente. Disse che Ettore stava tenendo consiglio
con tutti i saggi, presso la tomba di Ilo. E ci descrisse l'accampamento e come
erano schierati i Troiani e i loro alleati. Li nominò uno ad uno e ci disse dov'erano.
E chi vegliava e chi dormiva. Alla fine sbottò: "Smettetela di farmi domande.
Se quello che volete è infiltrarvi là dentro e colpire qualcuno, allora andate
verso i Traci, sono arrivati da poco, e sono isolati, scoperti sul fianco. E
Reso, il re, è in mezzo a loro. Lui combatte con armi d'oro, stupende,
meravigliose a vedersi, le armi di un dio, non di un uomo. Ho visto i suoi
cavalli, grandi, bellissimi, bianchi più della neve e veloci come il vento; il
suo carro è ornato d'oro e d'argento. Attaccate lui. E adesso portatemi alle
navi e legatemi lı, fino al vostro ritorno, quando saprete se vi ho mentito o
no".
Diomede
Pensava di cavarsela
così, capito? "Pensi di cavartela così, Dolone? Scordatene. Ci hai detto
un sacco di cose utili, grazie. Ma il fatto è che purtroppo sei nelle mie mani.
Se ti lascio scappare, sai cosa succederà? Che domani ti ritrovo qui a fare la spia,
o peggio, ti ritrovo davanti a me in battaglia, tutto armato, e con l'idea di uccidermi.
Se invece ti schiaccio, adesso, domani non succederà niente di tutto questo."
E con la spada gli taglio la testa di netto, ancora parlava, con quella bocca, e
tendeva la mano verso di me supplicando, e io con la spada gliela taglio, la
testa, e la guardo rotolare nella polvere. Vedo ancora come fosse adesso Ulisse
che prende quel corpo, lo solleva e lo offre ad Atena, "E per te, dea
predatrice" e poi lo appende a un tamarisco, e gli lega intorno canne e
rami fioriti, così che tornando, dopo la nostra impresa, lo potessimo ritrovare
e portare all'accampamento, il nostro trofeo!
Ulisse
Ci mettemmo a
correre, fra i cadaveri, e le armi abbandonate, e il sangue, nero, dappertutto,
finché arrivammo all'accampamento dei Traci. Dolone non aveva mentito. Stavano
tutti dormendo, sopraffatti dalla stanchezza. Le armi le avevano posate a
terra, accanto a loro, tutte ordinate, in tre file. Ogni guerriero si era
tenuto vicino due cavalli. Proprio in mezzo, dormiva Reso. I suoi cavalli
magnifici erano legati con le redini al bordo del carro.
Diomede
Allora Ulisse mi
dice, "Diomede, guardalo, è lui, Reso, e quelli sono i cavalli di cui ci
parlava Dolone. È ora che tu usi le armi che ti sei portato fin qui. Tu pensa
agli uomini, io penserò ai cavalli". così, mi dice. E io alzo la spada e
inizio a uccidere. Dormivano tutti, capite? Sembravo un leone che incrocia un
gregge senza pastore, e ci si butta in mezzo, furente... Li ammazzo uno dopo
l'altro, sangue dappertutto, uno dopo l'altro, dodici ne ammazzo. E ogni volta
che uno muore, vedo Ulisse che lo prende per i piedi e lo leva di mezzo, adesso
tu pensa che cervello, quell'uomo, spostava i cadaveri, li nascondeva, perché
già aveva pensato ai cavalli di Reso, erano appena arrivati in battaglia, non
erano abituati a cadaveri e sangue, e così, tu pensa che cervello, lui gli
liberava la strada per poterli portare via senza che si innervosissero
trovandosi un morto tra gli zoccoli, o il rosso del sangue, negli occhi. Ulisse...
Beh, alla fine arrivo davanti a Reso. Stava dormendo, e sognava, aveva un incubo,
parlava e si muoveva, io credo che sognasse me, ne sono sicuro, stava sognando
Diomede, figlio di Tideo, nipote di Oineo e il suo sogno lo uccise, con la spada
lo uccisi è mentre Ulisse scioglie i cavalli dai solidi zoccoli e li sprona colpendoli
con l'arco, perché non aveva frusta, niente, per farli andare avanti doveva usare
l'arco, pensa te, e con quello li porta via e poi mi fischia da lontano, perché
vuole che ce ne andiamo da lì, al più presto, mi fischia ma io non so, c'è il
carro, là in mezzo, il fantastico carro di Reso, d'oro e d'argento, potrei
prenderlo dal timone, o sollevarlo, potrei farlo, ma Ulisse mi chiama, se resto
dovrò ancora uccidere e non è detto che ne esca vivo, mi piacerebbe uccidere,
ancora, uccidere, vedo Ulisse che salta a cavallo, proprio in groppa, tiene le
redini in mano, mi guarda, al diavolo il carro, al diavolo i Traci, via da lì,
prima che sia troppo tardi, di corsa raggiungo Ulisse, salto in groppa al
cavallo e ce ne andiamo, io e lui, veloci verso le veloci navi dei Danai.
Ulisse
Quando arrivammo nel
punto in cui avevamo ucciso quella spia, quell'uomo chiamato Dolone, fermai i
cavalli. Diomede smontò, prese il corpo insanguinato e me lo Passò. Poi risalì
a cavallo e galoppammo fino al fossato e al muro e alle nostre navi. Quando
arrivammo, tutti si accalcarono intorno a noi, gridavano, ci stringevano le
mani, volevano sapere. Nestore, il vecchio, si capiva che aveva avuto paura di
non vederci mai più, "Ulisse, raccontaci, dove avete preso questi cavalli,
siete andati a rubarli ai Troiani o ve li ha regalati un dio, sembrano raggi di
sole, davvero, io che sono sempre in mezzo ai Troiani è perché non me ne sto
sulle navi ad aspettare, anche se sono vecchio è beh, io non ho mai visto
cavalli del genere, in battaglia". E
io raccontai, perché
questo è il mio destino, e non tacqui nulla, la spia, Reso, i tredici uomini
uccisi da Diomede, i cavalli magnifici. Alla fine tornammo tutti al di là del fossato
e io accompagnai Diomede alla sua tenda. Legammo i cavalli alla greppia, di fianco
ai suoi cavalli, e gli demmo grano dolcissimo. Poi ci buttammo in mare, io e lui,
nell'acqua a lavare via sangue e sudore, dalle gambe, dalle cosce, dalla
schiena, e dopo che l'onda del mare ci aveva lavati, entrammo nelle tinozze ben
levigate a riposarci e confortare il cuore. Lavati e unti con olio d'oliva,
sedemmo al banchetto, infine, bevendo vino dolcissimo.
Diomede
Quella spia, il suo
corpo insanguinato, Ulisse lo posò sulla poppa della sua nave. E per te, Atena,
dea predatrice.
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