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1 settembre 2017

Ode al Cocomero – Pablo Neruda

Emilio Longoni - Tavolo con angurie
Ode al Cocomero – Pablo Neruda

La pianta dell'estate
intensa,
invulnerabile,
è tutto cielo azzurro,
sole giallo,
stanchezza a goccioloni,
è una spada
sopra i cammini,
una scarpa bruciata
nelle città:
il chiarore, il mondo
ci spossano,
ci colpiscono
gli occhi
col polverone,
con improvvisi colori d'oro,
ci affliggono
i piedi
con spine,
con pietre surriscaldate,
e la bocca 
soffre
più di tutte le dita:
hanno sete
la gola,
i denti,
le labbra e la lingua:
vorremmo
bere a cateratte,
la notte azzurra,
il polo,
e allora
il cielo ci offre
il più fresco di tutti
i pianeti,
lo sferico, supremo
e celestiale cocomero.

È il frutto della pianta delle sete.

È la balena verde dell'estate.

L'universo secco

d'improvviso
cosparso
da questo firmamento di freschezza 
lascia cadere 
la frutta 
traboccante:
s'aprono i suoi emisferi
mostrando una bandiera
verde, bianca, scarlatta, 
che si dissolve
in cascata, in zucchero,
in delizia!

Scrigno dell'acqua, placida

regina
della frutta,
cantina 
della profondità, luna 
terrestre!
Oh, pura, 
nella tua abbondanza
si sciolgono rubini
e ciascuno
vorrebbe 
morderti
affondando
in te
la faccia,
i capelli, 
l'anima!
Ti scorgemmo
assetati
come 
miniera o montagna
di splendido alimento,
ma 
tu diventi
tra i denti e il desiderio
soltanto 
fresca luce
che si scioglie, 
fonte 
che ci ha sfiorato 
cantando.
E così 
non sei indigesto
durante la siesta
ardente,
non sei indigesto,
passi soltanto
e il tuo gran cuore di brace fredda
si trasforma nell'acqua 
d'una goccia.

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