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20 novembre 2017

Aiace – Pandelis Bukalas

Torso del Belvedere (Aiace?)
Aiace – Pandelis Bukalas

Né le armi di Achille
né il Palladio.
Non pretesi nulla.
Non era per questo che combattevo
– le armi sono inutili nell’Ade,
e le statue degli dèi
valgono, finalmente, quanto gli dèi che rappresentano:
nulla.
E’ la mia sorte che combattevo,
e gli dèi, senza un padrone, che la determinano.
Il loro non avere un padrone mi inveleniva
mi faceva vergognare.
Così cancellai dal mio scudo
il volto di Atena,
senza ira, con tutta calma.
Non volevo alcun protettore,
nessun dio miracoloso che piegasse
la lancia del mio nemico
o deviasse la sua freccia.
Volevo una gloria tutta mia, non un regalo.

Io e il mio corpo.
Nessun altro.
Quando mi gettavo nella mischia cruenta,
quando massacravo e mi massacravano.
Solo. Splendidamente solo.
E’ ridicolo dire che mi sia gettato fra le greggi argive
perché la dea mi aveva obnubilato la mente,
sconvolta forse dalla gelosia
per i premi che non mi aveva dato,
come dovuto.
La mia vita è un premio.
L’unico.
Che altro?

E quando fissavo la spada aguzza in terra
e quando nudo vi conficco il corpo,
è come se lo vedessi all’infuori di me,
e quando scelgo come varco per la spada
l’unico punto vulnerabile del corpo,
l’ascella
– mi aveva donato l’immortalità incompleta
l’invidioso Zeus,
ascoltando disattento la preghiera di suo figlio
Eracle –
lo scelgo in tutta calma.
Perché l’unica acquisizione è la mia vita.
Breve? Ma mia. La determino.
Sto per finirla,
era già sancito il mio nome
per i molti ahi della mia pena*
Prima che prendano la decisione finale
gli dèi e le dee
e altre causali nullità
giocando con le loro bilance e i loro stami,
voglio la mia fine.

E mentre mi godevo l’estremo respiro,
e Menelao, miserabile, ordinava,
di gettarmi sul lido,
perché mi dilaniassero gli uccelli,
chiesi – estrema e prima richiesta –
che mio fratello sentisse, come garante,
che non fossi bruciato, che non mi incenerissero,
chiesi solo che il mi cadavere fosse ornato integro
che integro il mio corpo senz’anima fosse pianto
e onorato. Monumento d’uomo.
L’unico premio della mia vita.
L’unico modo per ribellarmi
a ciò che determinarono come sorte. E a quelli.
Da solo decisi il viaggio
nel più splendido erebo.
Quale altra libertà è più desiderabile?

* Secondo un’etimologia palesemente falsa, il nome Aiace devirevebbe dal grido di dolore “ahi ahi”.

Traduzione di Massimo Cazzulo
Da “Poesia”  n. 298, novembre 2014. Crocetti Editore

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