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2 novembre 2017

da Per il bagno di Pallade - Callimaco

Sandro Botticelli - Pallade e il Centauro
da Per il bagno di Pallade - Callimaco
 
Bagnatrici di Pallade, venite,
venite fuori tutte: udii nitrire
appena adesso le cavalle sacre
ed è pronta per muoversi la dea.
Correte, bionde figlie dei Pelasgi,
correte presto: le robuste braccia
mai bagnò Atena, prima di strigliare
i fianchi polverosi dei cavalli,
neppure quando giunse, riportando
dai figli sciagurati della terra
tutta sporca di polvere e di sangue
l'armatura, ma il collo dei cavalli
prima di tutto liberò dal carro
e lavò nelle fonti dell'Océano
le gocce di sudore e dalla bocca,
stretta sul morso, l'incrostata schiuma
tolse del tutto. Andate, donne Achee,
non portate profumi né alabastri
(odo il suono dei mozzi sotto l'asse)
non portate profumi né alabastri,
o bagnatrici, a Pallade (non ama
la mescolanza degli unguenti Atena),
né portate lo specchio: è sempre bello
il volto suo. Neppure quando il frigio
fece sull'Ida l'arbitro al giudizio,
volse lo sguardo al cerchio di oricalco
la grande dea né al diafano fluire
del Simoenta. Né si specchiò Era.
Cipride invece, preso il terso rame,
spesso rifece una seconda volta
la medesima ciocca della chioma.
Ella percorse centoventi giri
di corsa doppia, come sull'Eurota
le stelle Lacedemoni e da esperta
si unse, versati i naturali unguenti,
prodotto del suo albero, fanciulle,
e si coprì d'un colorito rosso,
come la rosa del mattino o il chicco
del melograno. Offritele anche adesso
solamente il virile olio di oliva
con cui Castore ed Eracle si spalmano.
E un pettine portate, tutto d'oro,
perché, lisciati i riccioli lucenti,
si pettini la chioma. Vieni, Atena.
Lo stuolo prediletto delle vergini
dei potenti Arestoridi è qui pronto.
Anche lo scudo di Diomede, Atena,
viene portato: tra gli antichi Argivi
Eumede, il sacerdote che ti è caro,
introdusse quest'uso e quando apprese
che un decreto di morte era sancito
dal popolo a suo danno, se ne andava,
con la tua sacra immagine, in esilio
e sul monte Creione, sul Creione
prese dimora e tra scoscese rupi,
che ora di Pallatidi hanno il nome,
ti depose, divina. Vieni, Atena,
rovina di città, dall'elmo d'oro,
che godi del fragore dei cavalli
e degli scudi. Portatrici d'acqua,
oggi non attingete; gente d'Argo,
bevete oggi alle fonti e non al fiume.
Oggi, serve alla fonte di Fisadia
portate i vasi o a quella di Amimone,
figlia di Danao. L'Inaco dai monti
discenderà, di pascoli coperti,
mischiando le sue acque all'oro e ai fiori,
a portare il bel bagno per Atena.
Attento a non vedere la regina,
non volendo, Pelasgo. Chi vedesse
colei che tiene in pugno la città,
Pallade, nuda, per l'estrema volta
volgerà gli occhi ad Argo. Ma tu vieni,
signora Atena: io narrerò qualcosa
a costoro, nel tempo che tu giungi:
questo racconto non è mio, ma di altri.
Una volta, fanciulle, c'era in Tebe
una ninfa, la madre di Tiresia,
che Atena molto più delle compagne
aveva cara e non lasciava mai.
Ma, sia che dirigesse i suoi cavalli
verso l'antica Tespie...
o verso Aliarto, i campi dei Beoti
attraversando, o verso Coronea,
dove per lei c'è un tempio profumato
e lungo le correnti del Curalio
sono disposti altari, sul suo carro
più d'una volta l'invitò la dea
e i frivoli discorsi delle ninfe
e le figure delle danze in coro
le parevano privi di dolcezza
se non li conduceva Cariclò.
(…)

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