Sandro Botticelli - Pallade e il Centauro
da Per il
bagno di Pallade - Callimaco
Bagnatrici
di Pallade, venite,
venite fuori
tutte: udii nitrire
appena
adesso le cavalle sacre
ed è pronta
per muoversi la dea.
Correte,
bionde figlie dei Pelasgi,
correte
presto: le robuste braccia
mai bagnò
Atena, prima di strigliare
i fianchi
polverosi dei cavalli,
neppure
quando giunse, riportando
dai figli
sciagurati della terra
tutta sporca
di polvere e di sangue
l'armatura,
ma il collo dei cavalli
prima di
tutto liberò dal carro
e lavò nelle
fonti dell'Océano
le gocce di
sudore e dalla bocca,
stretta sul
morso, l'incrostata schiuma
tolse del
tutto. Andate, donne Achee,
non portate
profumi né alabastri
(odo il
suono dei mozzi sotto l'asse)
non portate
profumi né alabastri,
o
bagnatrici, a Pallade (non ama
la
mescolanza degli unguenti Atena),
né portate
lo specchio: è sempre bello
il volto
suo. Neppure quando il frigio
fece
sull'Ida l'arbitro al giudizio,
volse lo
sguardo al cerchio di oricalco
la grande
dea né al diafano fluire
del
Simoenta. Né si specchiò Era.
Cipride
invece, preso il terso rame,
spesso
rifece una seconda volta
la medesima
ciocca della chioma.
Ella
percorse centoventi giri
di corsa
doppia, come sull'Eurota
le stelle
Lacedemoni e da esperta
si unse,
versati i naturali unguenti,
prodotto del
suo albero, fanciulle,
e si coprì
d'un colorito rosso,
come la rosa
del mattino o il chicco
del
melograno. Offritele anche adesso
solamente il
virile olio di oliva
con cui
Castore ed Eracle si spalmano.
E un pettine
portate, tutto d'oro,
perché,
lisciati i riccioli lucenti,
si pettini
la chioma. Vieni, Atena.
Lo stuolo
prediletto delle vergini
dei potenti
Arestoridi è qui pronto.
Anche lo
scudo di Diomede, Atena,
viene
portato: tra gli antichi Argivi
Eumede, il
sacerdote che ti è caro,
introdusse
quest'uso e quando apprese
che un
decreto di morte era sancito
dal popolo a
suo danno, se ne andava,
con la tua
sacra immagine, in esilio
e sul monte
Creione, sul Creione
prese dimora
e tra scoscese rupi,
che ora di
Pallatidi hanno il nome,
ti depose,
divina. Vieni, Atena,
rovina di
città, dall'elmo d'oro,
che godi del
fragore dei cavalli
e degli
scudi. Portatrici d'acqua,
oggi non
attingete; gente d'Argo,
bevete oggi
alle fonti e non al fiume.
Oggi, serve
alla fonte di Fisadia
portate i
vasi o a quella di Amimone,
figlia di
Danao. L'Inaco dai monti
discenderà,
di pascoli coperti,
mischiando
le sue acque all'oro e ai fiori,
a portare il
bel bagno per Atena.
Attento a
non vedere la regina,
non volendo,
Pelasgo. Chi vedesse
colei che
tiene in pugno la città,
Pallade,
nuda, per l'estrema volta
volgerà gli
occhi ad Argo. Ma tu vieni,
signora
Atena: io narrerò qualcosa
a costoro,
nel tempo che tu giungi:
questo
racconto non è mio, ma di altri.
Una volta,
fanciulle, c'era in Tebe
una ninfa,
la madre di Tiresia,
che Atena
molto più delle compagne
aveva cara e
non lasciava mai.
Ma, sia che
dirigesse i suoi cavalli
verso
l'antica Tespie...
o verso
Aliarto, i campi dei Beoti
attraversando,
o verso Coronea,
dove per lei
c'è un tempio profumato
e lungo le
correnti del Curalio
sono
disposti altari, sul suo carro
più d'una
volta l'invitò la dea
e i frivoli
discorsi delle ninfe
e le figure
delle danze in coro
le parevano
privi di dolcezza
se non li
conduceva Cariclò.
(…)
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