Claude Monet - Le Pont Argenteuil
da Feria d’agosto – Cesare Pavese
La giacchetta di cuoio
Mio padre mi lascia
passare le giornate alla baracca dell'imbarco, perché così mi divago e imparo
un mestiere senz'accorgermene. Adesso c'è una padrona grassa, che grida sempre,
e se faccio tanto di toccare una barca, mi vede, fosse anche dalla cantina, e
grida che non è roba mia. Dietro la baracca ci sono i tavolini e le sedie per i
clienti, ma questa padrona non si fa più aiutare, e se le porto un'ordinazione
dice subito a suo figlio di prendere lui i bicchieri. Nella baracca è un pezzo
che non entro più, e più ancora che non salgo di sopra a guardare l'acqua e le
barche dalla finestra di Ceresa. Qui non viene più nessuno ormai, e sta fresco
mio padre se crede che possa ancora imparare il mestiere.
Questa madama Pina
non sa mica fare: trattano i clienti come trattano me. Non basta portare la
giacchetta di cuoio per governare un imbarco; bisogna che la gente venga di
voglia e veda dalla faccia del padrone che gli piacciono le barche e il Po e
che divertirsi è una bella cosa. Ceresa sì che era l'uomo: sembrava che
giocasse con tutti e sulle barche ci stava più lui che i clienti. Quando c'era
Ceresa non mancava mai da ridere: si stava in mutandine nell'acqua, si preparava
il catrame, si vuotavano le barche, e alla stagione buona si faceva merenda col
secchio dell'uva sul tavolo, sotto le piante. Le ragazze che andavano in barca
si fermavano a scherzare sotto la tettoia, e ce n'era una che voleva farsi
accompagnare da Ceresa su per il Po. Ceresa le diceva sempre che non poteva
piantare l'imbarco e l'osteria, e che venisse la mattina presto prima del sole.
Una bella mattina quella stupida era venuta, e Ceresa allora le disse che si alzasse
così tutti i giorni e le sarebbe passato il mal di testa.
La giacchetta di
cuoio, che adesso la vecchia si butta sulle spalle quando piove, Ceresa la
portava sempre e mi ricordo che, una volta che eravamo in barca e venne un
temporale, se la tolse e me la diede per coprirmi. Sotto, era sempre a torso
nudo, e mi diceva che, se avessi fatto la vita del Po, da grande mi sarebbero
venuti i suoi muscoli. Aveva i baffetti e a forza di stare al sole era biondo.
L'altr'anno, per via
di Nora, qualcuno smise di venire. Nora prima era la serva che portava le
bibite ai clienti e la sera se ne andava via; poi l'altr'anno, per tardi che me
ne andassi a casa, lei restava ancora nella baracca, e la mattina quando arrivavo
la vedevo già guardare dalla finestra. Nora era una bella donna; Ceresa non lo
diceva mai, ma lo dicevano i giovanotti e i vecchi che giocavano alle bocce.
Nora stava appoggiata alla porta, tenendosi un gomito con la mano, vestita di
rosso, e guardava tutti senza parlare. A me, una volta che mi sedetti sullo
scalino aspettando Ceresa, mi disse:
- Stupido, va' a casa
tua -. Ma delle altre volte rideva quando mi sedevo in una barca coi piedi
nell'acqua, e se qualcuno chiedeva un remo o un cuscino e non c'era Ceresa, mi
diceva di andarli a prendere sotto la tettoia.
A me fece subito pena
che Nora non se ne andasse più dalla baracca. Prima, quando me la ricordavo,
dicevo anch'io:
«È una bella ragazza»
e non ci pensavo più; ma, se adesso teneva compagnia a Ceresa, voleva dire
ch'era proprio qualcosa di straordinario, e mi faceva pena perché non capivo
che cosa.
Mangiavano sotto la
tettoia, insieme; e io restavo ancora un poco, per aiutarli se tornavano barche,
ché non dovessero alzarsi; e loro discorrevano, a me dicevano qualcosa ogni
tanto, ma più che tutto si strizzavano l'occhio e, se Nora andava in cucina a
prendere un piatto, Ceresa stava zitto, guardando la porta. Tra loro parlavano
come non parlavano con me; neanche Ceresa, che con tutti scherzava, con lei era
il solito, ma diceva delle cose adagio, battendo la punta delle dita sul tavolo
e guardando in su, oppure menava la cerniera-lampo della giacchetta come fosse
un ventaglio, e Nora strizzava tutti e due gli occhi e guardava la cerniera
ridendo.
Si capiva che stavano
insieme per compagnia ma non per sposarsi, perché Nora non portava mai un
vestito qualunque di quelli che si mettono in casa, ma aveva quello rosso, e un
altro bianco ancora più bello, e una volta lavati i piatti e scopato, restava
sulla porta o veniva a guardare l'acqua come fanno le ragazze che prendono la
barca. Quando Ceresa la cercava, lei veniva camminando adagio e sembrava sempre
che non avesse niente da fare. Invece la giornata era lunga e ci stavano tante
cose: lei serviva nell'osteria, lavava le camicie e le avanzava ancora il tempo
per fumare la sigaretta.
Adesso che Nora era
la padrona, Ceresa mi diceva che un giorno avremmo ripreso la barca io e lui e
saremmo stati via fino alla sera risalendo il Po oltre la diga. Nora in barca
con noi non ci veniva, diceva che l'acqua puzzava, e quando partivamo con le
reti e la cesta per pescare sotto il ponte, ci guardava dalla finestra ridendo.
Per pescare, Ceresa si metteva soltanto la giacchetta e le mutandine nere
strette strette, e saltavamo in acqua e piazzavamo la cesta contro le pietre e,
mentre io tenevo la barca, Ceresa disturbava i pesci con le mani. Oltre la diga
sapeva un lago straordinario che si tornava con la cesta piena, e diceva sempre
che saremmo partiti un bel mattino per tornare la sera. Per molte mattine arrivai
all'imbarco sperando che fosse la volta buona, ma capitava sempre qualcosa da
fare, oppure Ceresa aveva da finire un discorso con Nora, o da catramare una
barca avanzata la sera prima, e si rimandava.
Finii per andarci da
solo, oltre la diga. Un giorno che Ceresa aveva da fare a Torino, io restai
solo con Nora che puliva della verdura in un secchio sotto la tettoia. Nora mi
teneva d'occhio senza parlare e allora mi annoiai. Le dissi che prendevo la
barca e partii. Restai fino a mezzogiorno sull'acqua e tornai convinto che quel
giorno non avrei visto Ceresa e che facevo meglio ad andarmene a casa. Invece
Ceresa era tornato e rideva dalla finestra infilandosi la giacca e mi chiamò di
sopra. Feci un passo ma poi vidi Nora sulla porta, che mi guardava di traverso,
e non ebbi il coraggio di entrare per salire. Dissi: - Ceresa chiama, - e andai
sotto la tettoia a posare il remo. Nora mi guardò mi guardò, poi salì lei.
Le mattinate erano
l'ora più bella, perché si poteva sempre sperare di più che non alla sera. Alla
sera dovevo andarmene perché dopo cena Ceresa e Nora si vestivano e si
prendevano a braccetto: andavano a Torino, al cine, a spasso. L'imbarco restava
vuoto, chiudevano l'osteria appena buio. Prima c'era sempre qualcuno e Ceresa
ci faceva divertire: lui non aveva freddo, restava in mutandine anche al buio.
Mi faceva rabbia che Nora, che non prendeva mai sole e doveva essere bianca
come la pancia di un pesce, gli desse del tu e stessero sempre a braccetto.
Avrei pagato per saper fare i loro discorsi.
- Vedrai quando mi
sposo, - mi disse un mattino Ceresa, - sarà tutto come prima -. Io gli tenevo
il catrame e avevo voglia di piangere. Non piangevo e guardavo la barca, perché
non ridesse. Stavo attento che Nora dalla cucina non mi sentisse, eppure sapevo
benissimo che voleva sposarla davvero.
- Io non mi sposerei,
- dissi piano, - vedrai che, quando ti sposi, Nora non si mette più il vestito
rosso e cominciate a litigare.
- Cos'è che hai detto
con lo Zucca ieri mentre giocava alle bocce?
Ceresa sapeva sempre
tutto. Ma era lo Zucca, quello dal gozzo, che parlando con un altro aveva detto
che Nora era una mula e Ceresa non doveva sposarla. Io avevo soltanto ascoltato
portando i bicchieri.
- Tu sei un ragazzo,
- disse Ceresa, - non fare i discorsi dei grandi. Se Nora ti dice qualcosa,
dillo a me.
Ma Nora non mi diceva
mai niente d'importante. Certe volte mi cacciava via. Quando lavoravamo con
Ceresa intorno a una barca, lei dalla porta ci guardava con una faccia da
padrona, e non capivo se guardava così me o Ceresa. Adesso aspettavo soltanto
che tornasse il discorso, per dirgli che Nora era una donna cattiva.
Qualche giorno dopo
il fatto dello Zucca, aspettavo in barca che Ceresa scendesse, ma Ceresa non
veniva. Era salito un momento a prendere da fumare, e dall'acqua vedevo la
finestra aperta, ma siccome era bel sereno potevano venire clienti a portarmi
via Ceresa, e non vedevo l'ora che scendesse. Era un pomeriggio caldo, e non si
sentiva neanche il rumore dell'acqua contro le barche. Poi intravedo la schiena
di Ceresa alla finestra e sento che parla verso la stanza e non si volta a
dirmi niente. Allora guardo il sole, poi chiudo gli occhi e me li premo, e
vedevo tante macchie rosse e verdi e mi annoiavo. Aspettai non so quanto, e un
bel momento vedo Ceresa sotto la tettoia che accendeva la sigaretta e mi
chiedeva che facevamo. Gli mostrai il remo e Ceresa fece un gesto come a dire
che gli seccava, ma saltò nella barca.
Si lasciò portare da
me fino al ponte e stava seduto senza parlare. Poi saltò in acqua e pescammo, e
ogni tanto diceva qualcosa dei pesci, ma non smetteva di fumare e di drizzarsi
a guardare l'acqua. Io gli parlai del motoscafo e discutemmo se andava a benzina,
ma lui non mi prese più in giro come faceva di solito, e sbatteva i pesci
piccoli in fondo alla barca dicendo: - Crepate anche voi.
Quella sera passò lo
Zucca col barcone e disse:
«Ehilà». - Tu sì che
sei furbo, - dico io vuotando l'acqua sui pesci, e Ceresa lo guarda, poi mi
guarda ridendo e mi pianta la mano sulla testa e mi fa il massaggio.
Eppure con Nora non
aveva litigato. Alle donne piace fare del baccano o almeno piangere; le donne
sono diverse da noi. Ma con Nora si stava zitti; scommetto che anche a lui Nora
diceva delle volte come a me: «Come sei stupido. Va' via», e allora Ceresa non
poteva far altro che torcerle il polso e romperglielo. Una volta sola che in
presenza di due clienti le disse di cucire il cuscino rotto di una barca, Nora
prese il cuscino e lo tirò nell'acqua. Poi si chiuse di sopra e non voleva più
aprirgli. Io mi misi a servire ai tavolini dietro la baracca, dove non si erano
accorti di niente. Ceresa non mi parlò per tutto il giorno e stette sotto la
tettoia a limare uno scalmo e si pompava da solo la forgia e prendeva i carboni
e li buttava con le mani nel Po ancora stridenti.
L'indomani trovo
l'uscio di legno. Chiamo; non c'è nessuno. Allora me ne vado perché non volevo
che mi trovassero i clienti e dovergli dire che Ceresa aveva litigato.
L'imbarco fu morto per due giornate; poi un bel mattino giravo per caso sulla
riva e vedo del movimento tra le barche. Era tornato Ceresa; era tornata Nora,
che se ne stava alla finestra e si cambiava la camicetta. Ceresa imbarcava
allora due ragazze, di quelle che si spogliano sotto la tettoia, e gridavano
delle stupidaggini. Ceresa rideva e teneva la barca.
La sera ci fu la
festa perché Nora era tornata. Vennero in cinque o sei, barcaioli e clienti -
lo Zucca, Damiano, i soliti - ma parevano più allegri e fecero mezzanotte
discorrendo e scherzando. Dicevano tutti che Nora doveva fare il bagno e dicevano
che l'indomani avrebbe comperato il costume e avrebbe servito in maglietta i
giocatori di bocce. Poi venne fuori la luna, e il battuto era chiaro come a
mezzogiorno; allora Damiano portò il vino e si misero a giocare. Io cascavo dal
sonno ma non volevo andarmene; ci pensò Nora che mi disse: - A casa tua non ti
vogliono? - e allora tornai.
Da quel giorno Nora
divenne più allegra ma con Ceresa era sempre pronta a rispondere, e Ceresa ci
rideva sopra e alzava le spalle. Alle volte mi vergognavo io per lui quando
quella strega diceva delle sciocchezze in presenza degli altri. S'era comperato
il costume da bagno, un costume rosso come quel vestito, e lo metteva a
mezzogiorno per prendere il sole mentre andava e veniva davanti alla tettoia, e
lo teneva anche dopo, finché Ceresa non la prendeva per un braccio e la
guardava con due occhiacci. Nora aveva una pelle che sembrava burro bianco, ma
nel Po non faceva mai il bagno. Quando venivano Damiano o il figlio dello Zucca
o dei soldati, si fermava a ridere con loro e farsi vedere. Io non capisco che
cosa ci trova la gente nelle donne. - Vedrai, -mi disse una volta Ceresa, - che
piaceranno anche a te. Ma finora non mi è ancora capitato.
Poi Ceresa litigò con
Damiano. Litigò un giorno che io non c'ero, e ne sentii parlare all'osteria il
giorno dopo. Si erano presi a pugni e avevano gridato tanto che i tranvieri
dell'altra riva sentivano. Quella volta guardai di nascosto la faccia di Nora,
se fosse arrabbiata anche lei; ma più che arrabbiata mi pareva spaventata.
Invece Ceresa non disse niente e venne con me a pescare e quel giorno non c'era
un pesce a pagarlo, e lui dalla rabbia prese la cesta e la sbatté contro la pila.
Poi si distese in fondo alla barca e mi disse di portarlo a casa.
Ormai, se non mi
diceva lui che c'era da fare qualcosa, io ci venivo malvolentieri all'imbarco.
C'era delle giornate che stavamo sotto la tettoia senza parlare e Nora non si
vedeva. Ma era ancor peggio quando Nora circolava in cucina o serviva i
clienti, perché allora mi aspettavo sempre che dicesse qualcosa. Poi una volta
cerco la mia barchetta – quella che mi ero fatto io sul banco della tettoia
quando Ceresa mi lasciava lavorare - e non la trovo più. Ceresa era seduto per terra
contro il palo e gli chiedo dov'era la barchetta; lui mi dice che non sa.
Allora corro in cucina e lo chiedo a Nora e la sento dire tranquilla che l'ha
bruciata nel fuoco.
Ceresa mi chiese quel
giorno, perché non imparavo un mestiere. - Ma voglio fare il barcaiolo, -
rispondo.
- Sei matto, - dice
lui, - non vedi che mestiere dannato? Di' a tuo padre che ti metta in fabbrica,
diglielo. Piuttosto devi fare il soldato -. Mi fece pena, non per me che tanto
ero niente, ma per lui che non gli piaceva più il Po. Volevo dirgli che
sposasse Nora, così l'avrebbe comandata meglio, ma non sapevo se mi avrebbe
risposto. Mi rimisi i calzoni e tornai a casa. Nora si era accorta di avermela
fatta grossa, perché l'indomani mi chiamò in cucina e mi fece discorrere. Mi
chiese se mi piaceva tanto fare il barcaiolo e se non avevo paura di annegare.
Io le risposi che mi piaceva perché era il mestiere di Ceresa. Poi mi chiese se
ero capace di portarla in barca. - Domandiamo a Ceresa se ci lascia andare a
vedere la diga. Se domani fa bello, andiamo.
L'indomani si mise in
costume e si fece imprestare la giacchetta di Ceresa. Prendemmo il cestino
della merenda e lei si sedette sui cuscini; Ceresa ci guardò partire ridendo.
Una volta passato il ponte, mi misi a remare lungo, e Nora mi chiese se era
lontano. Le spiegai come si faceva a puntare il remo, e lei provò: mi venne
vicino e per poco non cadevamo nell'acqua; le donne sono tutte uguali. Tornò a
sedersi e mi chiese se sapevo nuotare nell'acqua alta. Sapeva che sotto la diga
non si può nuotare e mi disse di fermarci allo sbocco del Sangone dove c'era
l'acqua tranquilla.
Legai la barca a
terra e, mentre lei mi guardava, feci un bel tuffo. Poi nuotai nel Sangone e le
gridai che l'acqua era più fredda che nel Po. Quando arrivai sotto la barca e
cominciavo a toccare, vidi uscire sulla riva Damiano e un soldato. Erano amici,
ma il soldato non l'avevo mai visto. Allora vennero vicino alla barca e
cominciarono a discorrere con Nora. Io salutai Damiano, ma senza dargli
confidenza. Salii da me sulla barca e mi sedetti.
Mi faceva rabbia
Damiano, perché sapevo che remava meglio di me e, se Nora gli diceva di
portarci alla diga, facevo la parte dello stupido. Ma Damiano e il soldato si
sedettero sulla riva e cominciarono a scherzare. Non rispondeva, e dopo un po'
saltò anche lei a terra e disse che voleva passeggiare. Il soldato le mise la
mano sulla cerniera della giacchetta e disse ridendo:
- Ci vuol aria -. Era
un napoletano.
Rimasi solo nella
barca e pensavo che, se Ceresa lo avesse saputo, guai al mondo, e allora tornai
nell'acqua perché chi passava non capisse che la barca era di Ceresa. Nora
tornò ch'era già sera e mi disse che non dovevamo dire a Ceresa di aver visto
Damiano. Questo lo sapevo anch'io.
Ma l'indomani cercò
di nuovo di farsi portare - stavolta ai Mulini -, e mi toccò di non venire
all'imbarco, perché tra Ceresa che insisteva e lei che mi guardava come fanno
le donne quando sono arrabbiate, non potevo dir di no. Ci venni verso sera e la
trovai che s'era già messa la gonna, ma, invece della camicetta, aveva ancora
la giacca di cuoio. Si vede che adesso teneva il costume sotto la gonna. Mi
guardò brutto, ma io stetti con Ceresa.
Erano belle le
mattine di settembre, quando il Po faceva nebbia e aspettavamo che il sole poco
alla volta la rompesse. Adesso c'era sempre qualcosa da fare alla forgia o nel
catrame, e Nora non si vedeva tanto presto perché andava al mercato. Ceresa
parlava meno di una volta ma gli stavo volentieri insieme perché capivo che era
svogliato e mi lasciava pasticciare sotto la tettoia come volevo. Ogni tanto
diceva qualcosa, e gli tenevo compagnia così.
Venne finalmente la
stagione dell'uva, e un pomeriggio ne staccammo dalle viti che coprivano
l'osteria e facemmo merenda col secchio. C'era anche Nora e mangiavamo ridendo,
tutti e tre. Nora diceva che bisognava stare attenti perché di notte ce la
rubavano. Poi per farci vedere dove i ladri potevano nasconderla, si aprì la
cerniera-lampo della giacchetta. Intravidi che sotto c'era nudo, qualcosa di
bianco e chiazzato; non aveva il costume. Chiuse subito.
Mentre noi facevamo
merenda, c'erano due soldati che bevevano la birra a un tavolino, e uno mi
pareva proprio quell'amico di Damiano che aveva scherzato con Nora. Ma come si
fa a dire? si somigliano tutti. Nora portandogli la birra non s'era fermata.
Ma dopo un'ora li
rividi tali e quali, che ridevano e discorrevano con Nora. Ceresa era entrato
in casa. Vidi Nora chinarsi sul tavolino, e il soldato allungare la mano come
quel giorno, ma stavolta tirar giù la cerniera, e Nora chinata rideva anche
lei. Mi voltai soltanto quando sentii che Ceresa era sulla porta. Mi chiamò e
non disse niente. Un momento dopo io ero solo sul battuto delle bocce, i
tavolini erano vuoti, e Nora e Ceresa erano in casa. Stetti a sentire se
gridavano ma niente si muoveva. Avevo soltanto paura che arrivasse un cliente o
tornasse una barca e dover chiamare Ceresa. Tra le piante era sereno e veniva
sera; avevo freddo. Di là dalle piante sentivo gli uccelli che volavano basso.
Sulla scarpata non passava neanche un'automobile. Parevano tutti morti. Mi
prese vergogna, paura, non so. Pensavo ancora a quel bianco di Nora. Mi pareva
che tutto gridasse e di sentirmi chiamare. Poi s'apri la finestra e Ceresa si
sporse e disse: - Pino, fila a casa -. Chiuse subito.
L'indomani ci tornai
col cuore in gola. Passai sulla scarpata senza scendere; l'imbarco era
tranquillo in mezzo alle piante. Non c'era nessuno. Tanto dovevo fare una
commissione al Dazio. Ma dopo pranzo mi decisi: Ceresa doveva saperlo che non
ci avevo colpa. Vedo un mucchio di barche che andavano e venivano davanti
all'imbarco; vedo due in borghese fermi vicino a un'automobile all'imbocco del
sentiero. Capisco che non si può passare, e allora faccio il giro del prato.
Sotto la tettoia tutti vanno e vengono, ma Ceresa non c'è. Allora trovo il
figlio dello Zucca che mi dice che Ceresa ha strozzato Nora e l'ha buttata nel
Po.
Io volevo vederlo per
dirgli di quel giorno del Sangone, ma ci fecero sgombrare quanti eravamo e
quando lui usci si senti soltanto il rumore dell'automobile. Poi mio padre mi
disse che meno ne parlavo meglio era, per me e per tutti.
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