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12 dicembre 2017

da Il nome della rosa – Umberto Eco

fotogramma da Il nome della rosa

da Il nome della rosa – Umberto Eco
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“Era la più grande biblioteca della cristianità,” disse Guglielmo. “Ora,” aggiunse, “l’Anticristo è veramente vicino perché nessuna sapienza gli farà più da barriera. D’altra parte ne abbiamo visto il volto questa notte.”
“Il volto di chi?” domandai stordito.
“Jorge, dico. In quel viso devastato dall’odio per la filosofia, ho visto per la prima volta il ritratto dell’Anticristo, che non viene dalla tribù di Giuda come vogliono i suoi annunciatori, né da un paese lontano. L’Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall’eccessivo amor di Dio o della verità, come l’eretico nasce dal santo e l’indemoniato dal veggente. Temi, Adso, i profeti e coloro disposti a morire per la verità, ché di solito fan morire moltissimi con loro, spesso prima di loro, talvolta al posto loro. Jorge ha compiuto un’opera diabolica perché amava in modo così lubrico la sua verità da osare tutto pur di distruggere la menzogna. Jorge temeva il secondo libro di Aristotele perché esso forse insegnava davvero a deformare il volto di ogni verità, affinché non diventassimo schiavi dei nostri fantasmi. Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità.”
“Ma maestro,” azzardai dolente, “voi ora parlate così perché siete ferito nel profondo dell’animo. Però c’è una verità, quella che avete scoperto stasera, quella cui siete arrivato interpretando le tracce che avete letto nei giorni scorsi. Jorge ha vinto, ma voi avete vinto Jorge perché avete messo a nudo la sua trama…”
“Non v’era una trama,” disse Guglielmo, “e io l’ho scoperta per sbaglio.”
L’asserto era autocontraddittorio, e non capii se veramente Guglielmo voleva che lo fosse. “Ma era vero che le orme sulla neve rinviavano a Brunello,” dissi, “era vero che Adelmo si era suicidato, era vero che Venanzio non era annegato nell’orcio, era vero che il labirinto era organizzato così come lo avete immaginato, era vero che si entrava nel finis Africae toccando la parola quatuor, era vero che il libro misterioso era di Aristotele… Potrei continuare a elencare tutte le cose vere che voi avete scoperto giovandovi della vostra scienza…”
“Non ho mai dubitato della verità dei segni, Adso, sono la sola cosa di cui l’uomo dispone per orientarsi nel mondo. Ciò che io non ho capito è stata la relazione tra i segni. Sono arrivato a Jorge attraverso uno schema apocalittico che sembrava reggere tutti i delitti, eppure era casuale. Sono arrivato a Jorge cercando un autore di tutti i crimini e abbiamo scoperto che ogni crimine aveva in fondo un autore diverso, oppure nessuno. Sono arrivato a Jorge inseguendo il disegno di una mente perversa e raziocinante, e non v’era alcun disegno, ovvero Jorge stesso era stato sopraffatto dal proprio disegno iniziale e dopo era iniziata una catena di cause, e di concause, e di cause in contraddizione tra loro, che avevano proceduto per conto proprio, creando relazioni che non dipendevano da alcun disegno. Dove sta tutta la mia saggezza? Mi sono comportato da ostinato, inseguendo una parvenza di ordine, quando dovevo sapere bene che non vi è un ordine nell’universo.”
“Ma immaginando degli ordini errati avete pur trovato qualcosa…”
“Hai detto una cosa molto bella, Adso, ti ringrazio. L’ordine che la nostra mente immagina è come una rete, o una scala, che si costruisce per raggiungere qualcosa. Ma dopo si deve gettare la scala, perché si scopre che, se pure serviva, era priva di senso. Er muoz gelîchesame die Leiter abewerfen, sô Er an ir ufgestigen ist… Si dice così?”
“Suona così nella mia lingua. Chi l’ha detto?”
“Un mistico delle tue terre. Lo ha scritto da qualche parte, non ricordo dove. E non è necessario che qualcuno un giorno ritrovi quel manoscritto. Le uniche verità che servono sono strumenti da buttare.”
“Voi non potete rimproverarvi nulla, avete fatto del vostro meglio.”
“E’ il meglio degli uomini, che è poco. E’ difficile accettare l’idea che non vi può essere un ordine nell’universo, perché offenderebbe la libera volontà di Dio e la sua onnipotenza. Così la libertà di Dio è la nostra condanna, o almeno la condanna della nostra superbia.”
Ardii, per la prima e l’ultima volta in vita mia, una conclusione teologica: “Ma come può esistere un essere necessario totalmente intessuto di possibile? Che differenza c’è allora tra Dio e il caos primigenio? Affermare l’assoluta onnipotenza di Dio e la sua assoluta disponibilità rispetto alle sue stesse scelte, non equivale a dimostrare che Dio non esiste?”
Guglielmo mi guardò senza che alcun sentimento trasparisse dai tratti del suo viso, e disse: “Come potrebbe un sapiente continuare a comunicare il suo sapere se rispondesse di sì alla tua domanda?” Non capii il senso delle sue parole: “Intendete dire,” chiesi, “che non ci sarebbe più sapere possibile e comunicabile, se mancasse il criterio stesso della verità, oppure che non potreste più comunicare quello che sapete perché gli altri non ve lo consentirebbero?”
In quel momento una parte dei tetti del dormitorio crollò con immenso fragore soffiando verso l’alto una nuvola di scintille. Una parte delle pecore e delle capre, che erravano per la corte, ci passarono accanto lanciando atroci belati. Dei servi passarono in frotta accanto a noi, gridando, e quasi ci calpestarono.
“C’è troppa confusione qui,” disse Guglielmo. “Non in commotione, non in commotione Dominus.”
L’abbazia arse per tre giorni e per tre notti e a nulla valsero gli ultimi sforzi. Già nella mattinata del settimo giorno della nostra permanenza in quel luogo, quando ormai i superstiti si avvidero che nessun edificio poteva più essere salvato, quando delle costruzioni più belle diroccarono i muri esterni, e la chiesa, quasi avvolgendosi su di sé, ingoiò la sua torre, a quel punto mancò a ciascuno la volontà di combattere contro il castigo divino. Sempre più stanche furono le corse ai pochi secchi d’acqua rimasti, mentre ancora ardeva quetamente la sala capitolare con la superba casa dell’Abate. Quando il fuoco raggiunse il lato estremo delle varie officine i servi avevano ormai da tempo salvato quante più suppellettili potevano, e preferirono battere la collina per recuperare almeno parte degli animali, fuggiti oltre la cinta nella confusione della notte.
Vidi qualcuno dei famigli avventurarsi entro quello che rimaneva della chiesa: immaginai che cercassero di penetrare nella cripta del tesoro per arraffare, prima della fuga, qualche oggetto prezioso. Non so se ci siano riusciti, se la cripta non fosse già sprofondata, se i gaglioffi non siano sprofondati nelle viscere della terra nel tentativo di raggiungerla.
Salivano intanto uomini dal villaggio, a prestar soccorso, o a cercar anch’essi di racimolare un qualche bottino. I morti rimasero per lo più tra le rovine ancora roventi. Al terzo giorno, curati i feriti, seppelliti i cadaveri rimasti allo scoperto, i monaci e tutti gli altri raccolsero le loro cose e abbandonarono il pianoro ancora fumante, come un luogo maledetto. Non so dove si siano dispersi.
(…)

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