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12 dicembre 2017

da Il nome della rosa – Umberto Eco

fotogramma da Il nome della Rosa di Jean-Jaques Arnaud
da Il nome della rosa – Umberto Eco

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Guglielmo e io lasciammo quei luoghi, su due cavalcature trovate smarrite nel bosco, e che ormai considerammo res nullius. Puntammo verso oriente. Giunti di nuovo a Bobbio apprendemmo cattive nuove dell’imperatore. Arrivato a Roma era stato incoronato dal popolo. Ritenuta ormai impossibile ogni composizione con Giovanni, aveva eletto un antipapa, Nicola V. Marsilio era stato nominato vicario spirituale di Roma, ma per sua colpa, o per sua debolezza, avvenivano in quella città cose assai tristi a riferirsi. Si torturavano sacerdoti fedeli al papa che non volevano dir messa, un priore degli agostiniani era stato gettato nella fossa dei leoni in Campidoglio. Marsilio e Giovanni da Gianduno avevano dichiarato Giovanni eretico e Ludovico l’aveva fatto condannare a morte. Ma l’imperatore malgovernava, si stava inimicando i signori locali, sottraeva danaro al pubblico erario. Man mano che udivamo queste notizie, ritardavamo la nostra discesa verso Roma, e capii che Guglielmo non voleva trovarsi a essere testimone di eventi che umiliavano le sue speranze.
Giunti che fummo a Pomposa, apprendemmo che Roma si era ribellata a Ludovico, il quale era risalito verso Pisa, mentre nella città papale rientravano trionfalmente i legati di Giovanni.
Nel frattempo Michele da Cesena si era reso conto che la sua presenza ad Avignone non portava ad alcun risultato, anzi temeva per la sua vita, ed era fuggito ricongiungendosi con Ludovico a Pisa. L’imperatore aveva frattanto perso anche l’appoggio di Castruccio, signore di Lucca e Pistoia, che era morto.
In breve, prevedendo gli eventi, e sapendo che il Bavaro si sarebbe portato a Monaco, invertimmo il cammino e decidemmo di precederlo colà, anche perché Guglielmo avvertiva che l’Italia stava diventando insicura per lui. Nei mesi e negli anni che seguirono, Ludovico vide l’alleanza dei signori ghibellini disfarsi, l’anno dopo Nicola antipapa si sarebbe reso a Giovanni, presentandoglisi con una corda al collo.
Come giungemmo a Monaco di Baviera io dovetti separarmi, tra molte lacrime, dal mio buon maestro. La sua sorte era incerta, i miei parenti preferirono che tornassi a Melk. Dalla tragica notte in cui Guglielmo mi aveva palesato il suo sconforto davanti alle rovine dell’abbazia, come per tacito accordo, non avevamo più parlato di quella vicenda. Né più vi accennammo nel corso del nostro doloroso commiato.
Il mio maestro mi diede molti buoni consigli per i miei studi futuri, e mi regalò le lenti che gli aveva fabbricato Nicola, lui avendo ormai di nuovo le sue. Ero ancora giovane, mi disse, ma un giorno mi sarebbero tornate utili (e invero le tengo sul naso, ora che scrivo queste righe). Poi mi abbracciò forte, con la tenerezza di un padre, e mi congedò.
Non lo vidi più. Seppi molto più tardi che era morto durante la grande pestilenza che infierì per l’Europa verso la metà di questo secolo. Prego sempre che Dio abbia accolto la sua anima e gli abbia perdonato i molti atti d’orgoglio che la sua fierezza intellettuale gli aveva fatto commettere.
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