da Feria d’agosto – Cesare Pavese
La vigna
Una vigna che sale
sul dorso di un colle fino a incidersi nel cielo, è una vista familiare, eppure
le cortine dei filari semplici e profonde appaiono una porta magica. Sotto le
viti è terra rossa dissodata, le foglie nascondono tesori, e di là dalle foglie
sta il cielo. È un cielo sempre tenero e maturo, dove non mancano - tesoro e
vigna anch'esse - le nubi sode di settembre. Tutto ciò è familiare e remoto -
infantile, a dirla breve, ma scuote ogni volta, quasi fosse un mondo.
La visione
s'accompagna al sospetto che queste non siano se non le quinte di una scena
favolosa in attesa di un evento che né il ricordo né la fantasia conoscono.
Qualcosa d'inaudito è accaduto o accadrà su questo teatro. Basta pensare alle
ore della notte, o del crepuscolo, in cui la vigna non cade sotto gli occhi e
si sa che si distende sotto il cielo, sempre uguale e raccolta. Si direbbe che
nessuno vi è mai camminato, eppure c'è chi la lavora a tralcio a tralcio e alla
vendemmia è tutta gaia di voci e di passi. Ma poi se ne vanno, ed è come una
stanza in cui da tempo non entra nessuno e la finestra è aperta al cielo. Il
giorno e la notte vi regnano; a volte vi fa fresco e coperto - è la pioggia -,
nulla muta nella stanza, e il tempo non passa. Neanche sulla vigna il tempo
passa; la sua stagione è settembre e torna sempre, e appare eterna. Solamente
un ragazzo la conosce davvero; sono passati gli anni, ma davanti alla vigna
l'uomo adulto contemplandola ritrova il ragazzo. Il sospetto di ciò che deve -
che è dovuto - accadere, la mantiene la stessa e risuscita nel ricordo
l'infanzia. Ma nulla è veramente accaduto e il ragazzo non sapeva di attendere
ciò che adesso sfugge anche al ricordo. E ciò che non accadde al principio non
può accadere mai più.
Se non forse sia
stata proprio quest'immobilità a incantare la vigna. Un sentiero l'attraversa
all'insù, dimezzando i f ilari e tagliando una porta sul cielo vicino. Il
ragazzo saliva per questi sentieri, vi saliva e non pensava a ricordare; non sapeva
che l'attimo sarebbe durato come un germe e che un'ansia di afferrarlo e
conoscerlo a fondo l'avrebbe in avvenire dilatato oltre il tempo. Forse
quest'attimo era fatto di nulla, ma stava proprio in questo il suo avvenire. Un
semplice e profondo nulla, non ricordato perché non ne valeva la pena, disteso
nei giorni e poi perduto, riaffiora davanti al sentiero, alla vigna, e si
scopre infantile, di là dalle cose e dal tempo, com'era allora che il tempo per
il ragazzo non esisteva. E allora qualcosa è davvero accaduto. È accaduto un
istante fa, è l'istante stesso: l'uomo e il ragazzo s'incontrano e sanno e si
dicono che il tempo è sfumato.
L'uomo sa queste cose
contemplando la vigna. E tutto l'accumulo, la lenta ricchezza di ricordi d'ogni
sorta, non è nulla di fronte alla certezza di quest'estasi immemoriale. Ci sono
cieli e piante, e stagioni e ritorni, ritrovamenti e dolcezze, ma questo è
soltanto passato che la vita riplasma come giochi di nubi. La vigna è fatta
anche di questo, un miele dell'anima, e qualcosa nel suo orizzonte apre
plausibili vedute di nostalgia e di speranza. Insoliti eventi vi possono accadere
che la sola fantasia suscita, ma non l'evento che soggiace a tutti quanti e
tutti abolisce: la scomparsa del tempo. Questo non accade, è; anzi è la vigna stessa.
Davanti al sentiero
che sale all'orizzonte, l'uomo non ritorna ragazzo: è ragazzo. Per un attimo,
in cui giunge a far tacere ogni ricordo, si trova entro gli occhi la vigna
immobile, istintiva, immutabile, quale ha sempre saputo di avere nel cuore. E
non accade nulla, perché nulla può accadere che sia più vasto di questa
presenza. Non occorre nemmeno fermarsi davanti alla vigna e riconoscerne i
tratti familiari e inauditi. Basta l'attimo dell'incontro e già il ragazzo e l'uomo
adulto han cominciato il loro dialogo che, ricco di giorni, dall'inizio non
muta.
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