Illustrazione da I Promessi Sposi edizione 1840
da “I promessi sposi” – Alessandro Manzoni
Quel ramo del lago di
Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a
seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi
a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un
promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi
congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa
trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia,
per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian
l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera,
formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti
contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone,
dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega:
talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di
su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un
tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome
più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo
lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in
ispianate, secondo l'ossatura de' due monti, e il lavoro dell'acque. Il lembo
estremo, tagliato dalle foci de' torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni;
il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte
boschi, che si prolungano su per la montagna. Lecco, la principale di quelle
terre, e che dà nome al territorio, giace poco discosto dal ponte, alla riva
del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando questo
ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi, e che s'incammina a diventar città.
Ai tempi in cui accaddero i fatti che prendiamo a raccontare, quel borgo, già
considerabile, era anche un castello, e aveva perciò l'onore d'alloggiare un comandante,
e il vantaggio di possedere una stabile guarnigione di soldati spagnoli, che
insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del paese, accarezzavan di tempo
in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir dell'estate,
non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l'uve, e alleggerire a'
contadini le fatiche della vendemmia. Dall'una all'altra di quelle terre,
dall'alture alla riva, da un poggio all'altro, correvano, e corrono tuttavia,
strade e stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto affondate, sepolte
tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e
qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista
spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa
nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena
circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scorcia, spunta
o sparisce a vicenda. Dove un pezzo, dove un altro, dove una lunga distesa di
quel vasto e variato specchio dell'acqua; di qua lago, chiuso all'estremità o
piuttosto smarrito in un gruppo, in un andirivieni di montagne, e di mano in
mano più allargato tra altri monti che si spiegano, a uno a uno, allo sguardo,
e che l'acqua riflette capovolti, co' paesetti posti sulle rive; di là braccio
di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido
serpeggiamento pur tra' monti che l'accompagnano, degradando via via, e perdendosi
quasi anch'essi nell'orizzonte. Il luogo stesso da dove contemplate que' vari
spettacoli, vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le
falde, vi svolge, al di sopra, d'intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate,
mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v'era sembrato
prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava
sulla costa: e l'ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio,
e orna vie più il magnifico dell'altre vedute.
Per una di queste
stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno
7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di
sopra: il nome di
questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo
luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un
salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice
della mano destra, e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva
il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i
ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati
oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava alla parte d'un monte, dove la
luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva
qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto
poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata
della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi dal libro, e di
guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada
correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a
foggia d'un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura:
l'altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non
arrivava che all'anche del passeggiero. I muri interni delle due viottole, in vece
di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul quale eran dipinte
certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell'intenzion
dell'artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e,
alternate con le fiamme, cert'altre figure da non potersi descrivere, che
volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un
fondo bigiognolo, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, voltata la
stradetta, e dirizzando, com'era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una
cosa che non s'aspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano,
l'uno dirimpetto all'altro, al confluente, per dir così, delle due viottole: un
di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di
fuori, e l'altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi,
appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L'abito, il portamento,
e quello che, dal luogo ov'era giunto il curato, si poteva distinguer
dell'aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano
entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull'omero sinistro,
terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme
ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio,
e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul
petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d'un
taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una gran guardia
traforata a lamine d'ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a
prima vista si davano a conoscere per individui della specie de' bravi.
(…)
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