The Handmaid's Tale, 1985
Ora
Rachele vide che non poteva partorire figli a Gia-cobbe, perciò Rachele divenne
gelosa di sua sorella e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, altrimenti muoio».
Giacobbe
si adirò contro Rachele e rispose: «Tengo io forse il posto di Dio che ti ha
negato il frutto del grem-bo?».
Allora
ella disse: «Ecco la mia serva Bilha. Entra da lei e lei partorirà sulle mie
ginocchia; così anch'io potrò avere figli per suo mezzo».
Genesi 30;
1-3
Ma quanto
a me, essendomi per molti anni stancato di offrire pensieri vani, futili e
illusori, e disperando infine totalmente del successo, fortunatamente ebbi a
imbat-termi in questa proposta...
Jonathan
Swift, Una modesta proposta
Nel
deserto non v'è nessun segnale che dica: tu non mangerai le pietre.
Proverbio sufi
a Mary Webster e Perry Miller
I
Notte
1
Si dormiva in quella che
un tempo era la palestra. L'impiantito era di legno verniciato, con strisce e
cerchi dipinti, per i giochi che vi si effettuavano in passato; i cerchi di
ferro per il basket erano ancora appesi al muro, ma le reticelle erano
scomparse. Una balconata per gli spettatori correva tutt'attorno allo stanzone,
e mi pareva di sentire, vago come l'aleggiare di un'immagine, l'odore acre di
sudore misto alla traccia dolciastra della gomma da masticare e del profumo che veniva
dalle ragazze che stavano a guardare, con le gonne di panno che avevo visto
nelle fotografie, poi in minigonna, poi in pantaloni, con un orecchino solo e i
capelli a ciocche rigide, puntute e striate di verde. C'erano state delle feste
da ballo; la musica indugiava, in un sovrapporsi di suoni inauditi, stile su
stile, un sottofondo di tamburi, un lamento sconsolato, ghirlande di fiori di
carta velina, diavoli di cartone e un ballo ruotante di specchi, a spolverare i
ballerini di una neve lucente.
Sesso, solitudine, attesa
di qualcosa senza forma né nome. Ricordo quello struggimento per qualcosa che
stava sempre per succedere e non era mai la stessa cosa, come le mani che
c'erano addosso lì per lì, nel piccolo spazio dietro la casa, o più in là nel
parcheggio, o nella sala della televisione col sonoro abbassato e soltanto le
immagini, guizzanti sulla carne tesa. Ci struggevamo al pensiero del futuro.
Come l'avevamo appresa, quella di-sposizione all'insaziabilità? Era nell'aria;
e restava ancora nell'aria, un pensiero persistente, mentre si cercava di dormire,
nelle brande militari che erano state disposte in corsie, con molto spazio tra
l'una e l'altra, così che non si potesse parlare. Avevamo lenzuola di flanella
leggera, come i bambini, e vecchie coperte di quelle in dotazione all'esercito,
ancora con la scritta U.S. Ripiegavamo i nostri abiti per bene e li riponevamo
sugli sgabelli ai piedi del letto. Le luci venivano abbassate ma non spente.
Zia Sara e Zia Elisabetta vigilavano, camminando avanti e indietro; avevano dei
pungoli elettrici di quelli che si usano per il bestiame agganciati a delle
cinghie che pendevano dalle loro cinture di cuoio.
Niente pistole, però,
neanche a loro venivano affidate le pistole. Le pistole erano per le guardie,
scelte a questo scopo tra gli Angeli. Alle guardie non era permesso entrare
nella casa se non vi erano chiamate, e a noi non era permesso uscirne, tranne
che per le nostre passeggiate, due volte al giorno, due per due, attorno al
campo di calcio che adesso era cintato da una rete metallica bordata di filo
spinato. Gli Angeli stavano dall'altra parte, voltati di schiena verso di noi.
Erano oggetto di paura per noi, ma anche di qualcos'altro. Se solo ci avessero
guardato. Se solo avessimo potuto parlare con loro. Si sarebbe potuto stabilire
uno scambio, pensavamo, un accordo, un baratto. Avevamo ancora il nostro corpo.
Erano queste le nostre fantasie.
Avevamo imparato a
sussurrare quasi impercettibilmente. Nella semioscurità potevamo allungare le
braccia, quando le Zie non guardavano, e toccarci le mani attraverso lo spazio
tra un letto e l'altro. Leggevamo il movimento
delle labbra, con le teste posate sul cuscino, girate di lato, osservando l'una
la bocca dell'altra. In questo modo ci eravamo scambiate i nostri nomi, di
letto in letto: Alma. Janine.
Dolores. Moira. June.
(…)
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