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11 aprile 2018

Da “Uomini nudi” – Alicia Giménez-Bartlett

opera di Jack Vettriano

Da “Uomini nudi” – Alicia Giménez-Bartlett

(…)
Ho sete, molta sete, e mi sveglio. È buio, credo di essere sola ma non è così. Si accende la luce nel corridoio e vedo Javier che esce dalla stanza, è nudo. Torna con un bicchiere d’acqua. Mi aiuta a tirarmi su, bevo.
“Stai bene?” mi chiede.
“Sì, sto bene”.
“Ivàn se n’è andato”.
Lui è rimasto, purtroppo. Ho bisogno di sentirmi sola, di riposare, di rivivere l’esperienza che ho vissuto poco fa.
“Non sarebbe meglio se tu tornassi domani, Javier?”.
“È tardissimo. Non posso rimanere a dormire con te?”.
“Sono veramente stanca”.
“Credevo che ti andasse di stancarti ancora un po’”.
Mi accarezza tra le gambe, mi bacia. È come i cani, vuole marcare il territorio per ultimo, coprire le tracce del cane che è passato prima di lui, rivendicare il suo diritto di proprietà. Mi copro col lenzuolo.
“No, per favore”.
“Tesoro…”:
“Lasciami stare, Javier, te ne prego”.
“Va bene, non preoccuparti. Non ti disturbo. Rimango nella mia parte di letto, fermo come un monaco”.
“Ti chiederei di lasciarmi sola, di andartene a casa tua. Ti chiamo”.
“Ma Irene, se dobbiamo cominciare una nuova vita, che cosa te ne importa se rimango a dormire? Non ti disturberò e domani, quando ci svegliamo, sarò già qui”.
Mi alzo a piedi nudi, vado nell’ingresso. Apro il cassetto dove tengo il doppione delle chiavi.  Lo prendo e glielo infilo in una tasca dei jeans, che sono ancora buttati a terra nel salone. Vedo che lui mi segue e mi osserva stupefatto.
“Ecco. Adesso hai le chiavi di casa. Sei contento? Domani puoi venire a fare colazione, puoi anche portare giù la spazzatura se ti va. Ti senti più realizzato così? Già inserito nella nuova vita? Adesso però ti prego di andartene”.
“Non capisco questo atteggiamento, Irene. Ne avevamo parlato”.
La vedo nella penombra, è nuda. Ha i capelli arruffati e due macchie nere di trucco sfatto intorno agli occhi. La sua espressione si trasforma in una smorfia di rabbia assoluta, esplosiva. Mi grida:
“Di cosa abbiamo parlato, Javier? Di cosa? Parlare con te non serve a niente! Tu non raccogli, non ascolti, rimani sempre con la tua cazzo di idea fissa nella testa. Non te ne importa niente degli altri, tu ti fabbrichi la tua realtà parallela e ci vivi dentro, tranquillo e beato. Non ti guardi nemmeno allo specchio! Per questo fai delle figure di merda e non te ne accorgi nemmeno”.
“Ma com’è che mi rovesci addosso tutto questo, Irene? C’è qualcosa che ti disturba? Qualcosa che ho fatto o detto…?”.
“Tu mi disturbi, tu! Sempre a fare progetti per una nuova vita, sempre a cercare di redimermi come un missionario! Ma non te lo ricordi chi sei, che mestiere fai, come ci siamo conosciuti, che cosa abbiamo fatto con il tuo amichetto poco fa?”.
Davvero, non sapevo come organizzare nella mente quello che stavo sentendo. Mi sono imposto nonostante tutto di non perdere la calma. Irene era in uno stato di alterazione indicibile. Dopo il sesso a tre, dopo il piacere, evidentemente montavano dentro di lei il senso di colpa, la vergogna, la rabbia contro se stessa, tutte emozioni delle quali pensava di essersi liberata.
“sai cosa penso, Irene? Penso che dovremmo prenderci una tisana e rasserenarci un po’. Dopo sarà meglio che non dormiamo insieme. Me ne vado a casa”.
Temo che si scateni una nuova ondata di improperi, ma non lo fa. Va in bagno e si mette un accappatoio, poi si dirige verso la cucina e la seguo. Vedo che mette a bollire dell’acqua e prepara una teiera. La burrasca è passata. Vado a vestirmi. Che io sia nudo in questa situazione rende le cose più difficili.
Ritorno e lei è lì, seduta al tavolo della cucina. Avvolta nell’accappatoio di spugna, con i capelli in disordine e una tazza fumante tra le mani, sembra una massaia appena alzata. Le sorrido. Mi siedo di fronte a lei, dove è già pronta la tazza per me.
“Stai meglio?” azzardo.
Non mi risponde. Mi guarda senza espressione, ma sembra aver esorcizzato i suoi demoni. Appare tranquilla.
“sai, Irene, io penso che questo tipo di esperienze sessuali estreme abbiano sempre qualcosa di traumatico. Io stesso sono rimasto un po’ scosso. Finché dura l’effervescenza del desiderio va tutto bene, ma poi…”.
Mi interrompe con una risata. Non so cosa pensare. Riprende a bere in silenzio. Ha di nuovo la faccia dura. Provo un timore indefinito. Mi alzo e la bacio sulla fronte. Le dico:
“Ti chiamo domani. Se hai bisogno, cercami in qualunque momento”.
Mi sto allontanando quando sento la sua voce “Javier!”. Mi volto e vedo il suo sorriso enigmatico.
“Non ti hanno preso per quel lavoro”.
Faccio fatica a capire il senso delle parole. Poi capisco.
“Da quando lo sai?”
“Non vuoi sapere perché non ti hanno preso?”.
Ritorno al tavolo e la guardo.
“Avanti, dimmelo”.
“Ha chiamato il mio amico. Non corrispondi al profilo. È un modo gentile per dire che non sei all’altezza. Gli ho chiesto spiegazioni, era dispiaciuto e mi ha detto: Che cosa vuoi che ce ne facciamo, Irene, di un professore di liceo?”.
“Da quando lo sai?”.
“Da ieri. Ma non era il caso di rovinare la festa di oggi, non ti pare?”.
(…)

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