dipinto di Andrew Atroshenko
da “Berta Isla” – Javier Marias
(…)
Fu nel terzo trimestre della quinta che Berta e
Tom si misero insieme con tutta l’evidenza possibile a quell’età, e le altre
pretendenti accettarono il fatto con un sospiro di rassegnazione e di rinuncia:
se davvero Berta era interessata, non c’era da stupirsi che Tomàs Nevison
avesse preferito lei, in fin dei conti era un paio d’anni che la metà maschile
del collegio Estudio si voltava a guardarla intensamente quando la incrociava
sulle enormi scale di marmo o nel cortile durante l’intervallo. Attirava gli
sguardi di quelli della sua classe, ma anche dei più grandi e dei più piccoli,
e ci furono diversi bambini di dieci o undici anni il cui primo amore distante
e pieno di stupore – l’amore ancora senza nome – fu per Berta Isla e che per
questo non la dimenticarono, né in gioventù né in età matura e nemmeno in
vecchiaia, sebbene mai avessero scambiato con lei una sola frase e per lei non
fossero esistiti. Perfino i ragazzi di altri istituti si aggiravano nelle
vicinanze della scuola per vederla all’uscita e seguirla, e quelli del collegio
Estudio, con un senso di proprietà esacerbato, se la prendevano con gli intrusi
e badavano che lei non cadesse nelle reti di qualcuno che non era “dei loro”.
Né Tom né Berta, nati rispettivamente in agosto e
in settembre, avevano compiuto quindici anni quando decisero di “uscire” o di
“fidanzarsi” come si diceva allora, e palesarono le loro intenzioni. In realtà
lei le aveva chiarite molto prima, si era unicamente preoccupata di camuffare
il suo innamoramento primitivo e ostinato – o di contenerlo - quanto bastava per non apparire oppressiva né
sfacciata, quanto bastava per essere educata – secondo l’educazione degli anni
Sessanta del secolo scorso – e per lasciargli la sensazione, quando si fosse
deciso a fare il passo, di non essere stato meramente scelto e irretito, ma di
prendere qualche iniziativa.
Le coppie così precoci sono condannate a
sviluppare una certa fraternità, anche solo perché nel primo periodo della loro
storia – il periodo inaugurale, che così profondamente segna a volte gli
sviluppi futuri – sanno di dovere aspettare prima di dover coronare il loro
amori e ardori. In quella classe sociale e a quell’epoca, se non altro,
malgrado le urgenze della sessualità incipiente e spesso esplosiva, era
giudicato imprudente e sconsiderato forzare le cose quando si faceva sul serio,
e Tomàs e Berta seppero fin da subito che facevano sul serio, che la loro non
era un’infatuazione destinata ad esaurirsi con la fina dell’anno scolastico, e
nemmeno due anni dopo, quando avrebbero finito il liceo. In Tom Nevison c’era
un po’ di timidezza e un’assoluta inesperienza in questo campo, e poi gli
accadde quello che accade a non pochi ragazzi: rispettano troppo quella che
hanno scelto come amore della loro vita presente, futura ed eterna, si guardano
dal lasciarsi andare con lei come non farebbero con le altre, e finiscono il
più delle volte per comportarsi in modo eccessivamente protettivo e cauto, per
vederla come un ideale nonostante lei sia fatta di interrogativa carne e sane
ossa e sesso curioso, per temere di profanarla e per farne un essere quasi
intoccabile. E a Berta accadde come a non poche ragazze: pur sapendo che
potrebbero farsi toccare senza riserve e ansiose di essere profanate, non
vogliono passare per impazienti, e ancor meno per avide. Non è raro, quindi,
che i fidanzati, dopo tanto trattenersi e guardarsi con passione e baciarsi con
cautela, escludendo certe zone del corpo, dopo tanto accarezzarsi con rispetto
e frenarsi non appena sentono che il rispetto soccombe, la prima volta che
coronano il loro amore lo facciano separatamente e per via vicaria, cioè con
terzi occasionali.
Entrambi persero la verginità durante il loro
primo anno universitario, e nessuno dei due lo disse all’altro. Quell’anno lo
passarono lontani, poco in termini assoluto, molto rispetto a quello a cui
erano abituati: Tom era stato ammesso a Oxford, in buona misura grazie
all’interessamento di suo padre e di Walter Starkie, ma anche per le sue grandi
doti linguistiche, e Berta si era iscritta a Lettere e filosofia alla
Complutense. I periodi di vacanza sono lunghi in quell’università inglese, più
di un mese tra Michaelmas e Hilary, altrettanto fra Hilary e Trinity, e tre
mesi interi fra Trinity e il nuovo Michaelmas o l’inizio dell’anno accademico,
così si chiamano laggiù i tre terms o
falsi trimestri, sicché Tomàs rientrava a Madrid dopo le sue otto o nove
settimane di duro studio e permanenza in Inghilterra e aveva il tempo di
riprendere la sua vita madrilena, o di non perderla completamente di vista, di
non rompere del tutto con Berta né di sostituirla, di non dimenticare mai
nulla. Ma quelle otto o nove settimane davano il tempo, a tutti e due, di
mettere l’altro in sospeso, fra parentesi. E al tempo stesso entrambi sapevano
che a rimanere fra parentesi sarebbe stato il periodo di separazione, una volta
che si fossero rivisti e che tutto fosse rientrato nella norma, La distanza
reiterata permette questo, che nessuna delle fasi alterne sia davvero reale,
che entrambe siano come fantomatiche, che ciascuna sfumi e neghi l’altra finché
dura il suo regno, e quasi la cancelli; e che, in definitiva, nulla di quanto
accade durante quelle fasi sia del tutto terreno o vissuto da svegli, che nulla
conti come realmente accaduto o abbia troppa importanza. Tom e Berta non
sapevano che quella sarebbe stata la cifra di gran parte della loro vita
insieme, insieme ma con poca presenza e senza limiti precisi, insieme ma
dandosi le spalle.
(…)
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