18 maggio 2018

da “Berta Isla” – Javier Marias

dipinto di Andrew Atroshenko 
da “Berta Isla” – Javier Marias
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Fu nel terzo trimestre della quinta che Berta e Tom si misero insieme con tutta l’evidenza possibile a quell’età, e le altre pretendenti accettarono il fatto con un sospiro di rassegnazione e di rinuncia: se davvero Berta era interessata, non c’era da stupirsi che Tomàs Nevison avesse preferito lei, in fin dei conti era un paio d’anni che la metà maschile del collegio Estudio si voltava a guardarla intensamente quando la incrociava sulle enormi scale di marmo o nel cortile durante l’intervallo. Attirava gli sguardi di quelli della sua classe, ma anche dei più grandi e dei più piccoli, e ci furono diversi bambini di dieci o undici anni il cui primo amore distante e pieno di stupore – l’amore ancora senza nome – fu per Berta Isla e che per questo non la dimenticarono, né in gioventù né in età matura e nemmeno in vecchiaia, sebbene mai avessero scambiato con lei una sola frase e per lei non fossero esistiti. Perfino i ragazzi di altri istituti si aggiravano nelle vicinanze della scuola per vederla all’uscita e seguirla, e quelli del collegio Estudio, con un senso di proprietà esacerbato, se la prendevano con gli intrusi e badavano che lei non cadesse nelle reti di qualcuno che non era “dei loro”.
Né Tom né Berta, nati rispettivamente in agosto e in settembre, avevano compiuto quindici anni quando decisero di “uscire” o di “fidanzarsi” come si diceva allora, e palesarono le loro intenzioni. In realtà lei le aveva chiarite molto prima, si era unicamente preoccupata di camuffare il suo innamoramento primitivo e ostinato – o di contenerlo -  quanto bastava per non apparire oppressiva né sfacciata, quanto bastava per essere educata – secondo l’educazione degli anni Sessanta del secolo scorso – e per lasciargli la sensazione, quando si fosse deciso a fare il passo, di non essere stato meramente scelto e irretito, ma di prendere qualche iniziativa.
Le coppie così precoci sono condannate a sviluppare una certa fraternità, anche solo perché nel primo periodo della loro storia – il periodo inaugurale, che così profondamente segna a volte gli sviluppi futuri – sanno di dovere aspettare prima di dover coronare il loro amori e ardori. In quella classe sociale e a quell’epoca, se non altro, malgrado le urgenze della sessualità incipiente e spesso esplosiva, era giudicato imprudente e sconsiderato forzare le cose quando si faceva sul serio, e Tomàs e Berta seppero fin da subito che facevano sul serio, che la loro non era un’infatuazione destinata ad esaurirsi con la fina dell’anno scolastico, e nemmeno due anni dopo, quando avrebbero finito il liceo. In Tom Nevison c’era un po’ di timidezza e un’assoluta inesperienza in questo campo, e poi gli accadde quello che accade a non pochi ragazzi: rispettano troppo quella che hanno scelto come amore della loro vita presente, futura ed eterna, si guardano dal lasciarsi andare con lei come non farebbero con le altre, e finiscono il più delle volte per comportarsi in modo eccessivamente protettivo e cauto, per vederla come un ideale nonostante lei sia fatta di interrogativa carne e sane ossa e sesso curioso, per temere di profanarla e per farne un essere quasi intoccabile. E a Berta accadde come a non poche ragazze: pur sapendo che potrebbero farsi toccare senza riserve e ansiose di essere profanate, non vogliono passare per impazienti, e ancor meno per avide. Non è raro, quindi, che i fidanzati, dopo tanto trattenersi e guardarsi con passione e baciarsi con cautela, escludendo certe zone del corpo, dopo tanto accarezzarsi con rispetto e frenarsi non appena sentono che il rispetto soccombe, la prima volta che coronano il loro amore lo facciano separatamente e per via vicaria, cioè con terzi occasionali.
Entrambi persero la verginità durante il loro primo anno universitario, e nessuno dei due lo disse all’altro. Quell’anno lo passarono lontani, poco in termini assoluto, molto rispetto a quello a cui erano abituati: Tom era stato ammesso a Oxford, in buona misura grazie all’interessamento di suo padre e di Walter Starkie, ma anche per le sue grandi doti linguistiche, e Berta si era iscritta a Lettere e filosofia alla Complutense. I periodi di vacanza sono lunghi in quell’università inglese, più di un mese tra Michaelmas e Hilary, altrettanto fra Hilary e Trinity, e tre mesi interi fra Trinity e il nuovo Michaelmas o l’inizio dell’anno accademico, così si chiamano laggiù i tre terms o falsi trimestri, sicché Tomàs rientrava a Madrid dopo le sue otto o nove settimane di duro studio e permanenza in Inghilterra e aveva il tempo di riprendere la sua vita madrilena, o di non perderla completamente di vista, di non rompere del tutto con Berta né di sostituirla, di non dimenticare mai nulla. Ma quelle otto o nove settimane davano il tempo, a tutti e due, di mettere l’altro in sospeso, fra parentesi. E al tempo stesso entrambi sapevano che a rimanere fra parentesi sarebbe stato il periodo di separazione, una volta che si fossero rivisti e che tutto fosse rientrato nella norma, La distanza reiterata permette questo, che nessuna delle fasi alterne sia davvero reale, che entrambe siano come fantomatiche, che ciascuna sfumi e neghi l’altra finché dura il suo regno, e quasi la cancelli; e che, in definitiva, nulla di quanto accade durante quelle fasi sia del tutto terreno o vissuto da svegli, che nulla conti come realmente accaduto o abbia troppa importanza. Tom e Berta non sapevano che quella sarebbe stata la cifra di gran parte della loro vita insieme, insieme ma con poca presenza e senza limiti precisi, insieme ma dandosi le spalle.
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