Eracle al raduno con gli altri Argonauti. Cratere attico a figure rosse da Orvieto. Pittore dei Niobidi, 460-450 a.C. (Louvre)
Dialoghi con Leucò. Gli argonauti - Cesare Pavese
Il tempio
sull’Acrocorinto, officiato da Ierodule, ci è ricordato anche da Pindaro. Che i
giovani uccisori di mostri – compreso Teseo di Atene – abbiano tutti avuto guai
da donne, si potrebbe supporlo se già la tradizione non lo suggerisse concorde.
Di una delle
più atroci, Medea – maga e gelosa e infanticida – ci parla a lungo e con calore
Euripide in una cara tragedia.
(Parlano Iasone e Mélita).
IASONE Spalanca pure la cortina, Mélita;
sento la brezza che la gonfia. In un mattino come questo anche Iasone vuol
vedere il cielo. Dimmi il mare com’è; dimmi che accade sull’acqua del porto.
MÉLITA O re Iasone, com’è bello di quassù. Le
banchine sono fitte di gente: una nave s’allontana in mezzo alle barche. È cosi
limpido che si riflette capovolta. Tu vedessi le bandiere e le corone; quanta
gente. Stanno perfino arrampicati sulle statue. Ho il sole negli occhi.
IASONE Saran venute anche le tue compagne, a
salutarli. Le vedi, Mélita?
MÉLITA Non so, vedo tanti. E i marinai che ci
salutano, piccini, attaccati alle funi.
IASONE Salutali, Mélita, dev’essere la nave
di Cipro. Passeranno dalle tue isole. E con la fama di Corinto e del suo
tempio, parleranno anche di te.
MÉLITA Che vuoi che dicano di me, signore?
Chi vuoi che nelle isole si ricordi di me?
IASONE I giovani hanno sempre chi li ricorda.
Si ripensa volentieri a chi è giovane. E gli dèi, non sono giovani? Per questo
tutti li ricordiamo e li invidiamo.
MÉLITA Li serviamo, re Iasone. E anch’io
servo la dea.
IASONE Ci sarà pure qualcuno, Mélita, un
ospite, un marinaio, che sale al tempio per giacersi con te, non con altre.
Qualcuno che parte del dono lo lascia a te sola. Io sono vecchio, Mélita, e non
posso salire lassù, ma un tempo in Iolco – tu non eri ancor nata – avrei salito
altro che un monte per trovarmi con te.
MÉLITA Tu comandi e noialtre ubbidiamo… Oh,
la nave apre le vele. È tutta bianca. Vieni a vederla, re Iasone.
IASONE Resta tu
alla finestra, Mélita. Io ti guardo mentre guardi la nave. È come se vi vedessi
prendere il vento insieme. Io tremerei nella mattina. Sono vecchio. Vedrei
troppe cose se guardassi laggiù.
MÉLITA La nave si piega nel sole. Come vola
adesso! pare un colombo.
IASONE E va soltanto fino a Cipro. Da
Corinto, dalle isole, ora salpano navi che solcano il mare. C’era un tempo che
questo mare era tutto deserto. Noi per primi l’abbiamo violato. Tu non eri
ancora nata. Quanto sembra lontano.
MÉLITA Ma è credibile, signore, che nessuno
avesse osato attraversarlo?
IASONE C’è una verginità delle cose, Mélita,
che fa paura più del rischio. Pensa all’orrore delle vette dei monti, pensa
all’eco.
MÉLITA Non andrò mai sulle montagne. Ma non
ci credo che il mare facesse paura a qualcuno.
IASONE Non ce la fece, infatti. Noi partimmo
da Iolco una mattina come questa, ed eravamo tutti giovani e avevamo gli dèi
dalla nostra. Era bello varcare, senza pensare all’indomani. Poi cominciarono i
prodigi. Era un mondo più giovane, Mélita, i giorni come chiare mattine, le
notti di tenebra spessa – dove tutto poteva succedere. Di volta in volta i
prodigi erano fonti, erano mostri, eran uomini o rupi. Di noi ne scomparvero,
qualcuno morì. Ogni approdo era un lutto. Ogni mattina il mare era più bello,
più vergine. La giornata passava nell’attesa. Poi vennero piogge, vennero
nebbie e schiume nere.
MÉLITA Queste cose si sanno.
IASONE Non era il mare il rischio. Noi s’era
capito, d’approdo in approdo, che quel lungo cammino ci aveva cresciuti.
Eravamo più forti e staccati da tutto – eravamo come dèi, Mélita – ma appunto
questo ci attirava a far cose mortali. Sbarcammo al Fasi, su prati di còlchici.
Ah ero giovane allora, e guardavo la sorte.
MÉLITA Quando si parla di voialtri, dentro il
tempio, si abbassa la voce.
IASONE Qualche volta si ride, lo so, Mélita.
Corinto è un’allegra città. E si dice, lo so: «Quando quel vecchio smetterà di
chiacchierare dei suoi dèi? Tanto son morti come gli altri». E Corinto vuol
vivere.
MÉLITA Noi si parla della maga, re Iasone, di
quella donna che qualcuno ha conosciuto. Oh dimmi com’era.
IASONE Tutti conoscono una maga, Mélita,
tranne a Corinto dove il tempio insegna a ridere. Tutti noialtri, vecchi o
morti, conoscemmo una maga.
MÉLITA Ma la tua, re Iasone?
IASONE Violammo il
mare, distruggemmo mostri, mettemmo piede sui prati del còlchico – una nube
d’oro sfavillava nella selva – eppure morimmo ciascuno di un’arte di maga,
ciascuno per l’incanto o la passione di una maga. La testa di
uno di noialtri finì lacerata e stroncata in un fiume. E qualcuno ora è vecchio
– e ti parla – che vide i suoi figli sacrificati dalla madre furente.
MÉLITA Dicono che non è morta, signore, che i
suoi incanti hanno vinto la morte.
IASONE È il suo destino, e non l’invidio.
Respirava la morte e la spargeva. Forse è tornata alle sue case.
MÉLITA Ma come ha potuto toccare i suoi
figli? Deve aver pianto molto…
IASONE Non l’ho mai vista piangere. Medea non
piangeva. E sorrise soltanto quel giorno quando disse che mi avrebbe seguito.
MÉLITA Eppure ti ha seguito, re Iasone, ha
lasciato la patria e le case, e accettato la sorte. Fosti crudele come un
giovane, anche tu.
IASONE Ero giovane, Mélita. E a quei tempi
nessuno rideva di me. Ma ancora non sapevo che la saggezza è la vostra, quella
del tempio, e chiedevo alla dea le cose impossibili. E cos’era impossibile per
noi, distruttori del drago, signori della nuvola d’oro? Si fa il male per essere grandi, per essere
dèi.
MÉLITA E perché vostra vittima è sempre una
donna?
IASONE Piccola
Mélita, tu sei del tempio. E non sapete che nel tempio – nel vostro – l’uomo
sale per essere dio almeno un giorno, almeno un’ora, per giacere con voi come
foste la dea? Sempre l’uomo pretende di giacere con lei – poi s’accorge che
aveva a che fare con carne mortale, con la povera donna che voi siete e che son
tutte. E allora infuria – cerca altrove di esser dio.
MÉLITA Eppure c’è chi si contenta, signore.
IASONE Si, chi è vecchio anzitempo o chi sale
da voi. Ma non prima di aver tutto tentato. Non chi ha visto altri giorni. Hai
sentito parlare del figlio d’Egeo, che discese nell’Ade a rapir Persefòne – il
re d’Atene che morì scagliato in mare?
MÉLITA Ne parlano quelli del Fàlero. Fu anche
lui navigatore come te.
IASONE Piccola Mélita, fu quasi un dio. E
trovò la sua donna oltremare, una donna che – come la maga – l’aiutò
nell’impresa mortale. L’abbandonò su un’isola, un mattino. Poi vinse altre
imprese e altri cicli, ed ebbe Antiope, la lunare, un’amazzone indocile. E poi
Fedra, luce del giorno, e anche questa si uccise. E poi Elena, figlia di Leda.
E altre ancora. Fin che tentò di conquistare Persefòne dalle fauci dell’Ade.
Una soltanto non ne volle, che fuggì da Corinto – l’assassina dei figli – la
maga, lo sai.
MÉLITA Ma tu, signore, la ricordi. Tu sei più
buono di quel re. Tu da allora non hai più fatto piangere.
IASONE Ho imparato
a Corinto, a non essere un dio. E conosco te, Mélita.
MÉLITA O Iasone,
che cosa son io?
IASONE Una piccola
donna marina, che discende dal tempio quando il vecchio la chiama. E anche tu
sei la dea.
MÉLITA Io la servo.
IASONE L’isola del tuo nome, in occidente, è
un gran santuario della dea. Tu lo sai?
MÉLITA È un nome piccolo, signore, che mi han
dato per gioco. A volte penso a quei bei nomi delle maghe, delle donne infelici
che han pianto per voi…
IASONE Megàra Iole Auge Ippòlita Onfàle
Deiàneira… Sai chi fecero piangere?
MÉLITA Oh ma quello fu un dio. E adesso vive
fra gli dèi.
IASONE Cosi si racconta. Povero Eracle. Era
anche lui con noi. Non lo invidio.