31 gennaio 2016

Bevanda - Carmen Boullosa

foto di Rodney Smith
Bevanda - Carmen Boullosa

Bevo l’oscurità del miscredente
dal calice della tua bocca. Prendo per osso
l’amplesso, che ha del nudo e ha del morto,
e la parlata, che è ornamento vivente, boccolo
verità, maschera, belletto, ignudo.
Dall’abbraccio ricevo lo strappo. Sogno
del tuo occhio l’affezione per me, poi
la consolazione e l’amore. Tremo. Dubito.
Voglio bere, prendere, ricevere. Dammi,
colpisci su di me con la tua spada, apri, feriscimi,
irrora ciò che nessun liquido può lavare!
Segnami, strappami con la lama della tua sciabola.
Togli uccidendo ciò che con viltà teme
la timorosa del mio nome. Ti dico, dammi!
 

29 gennaio 2016

Inno alla bellezza - Charles Baudelaire

Le tre grazie - Antonio Canova
Inno alla bellezza - Charles Baudelaire

Vieni dal ciel profondo o l'abisso t'esprime,
Bellezza? Dal tuo sguardo infernale e divino
piovono senza scelta il beneficio e il crimine,
e in questo ti si può apparentare al vino.

Hai dentro gli occhi l'alba e l'occaso, ed esali
profumi come a sera un nembo repentino;
sono un filtro i tuoi baci, e la tua bocca è un calice
che disanima il prode e rincuora il bambino.

Sorgi dal nero baratro o discendi dagli astri?
Segue il Destino, docile come un cane, i tuoi panni;
tu semini a casaccio le fortune e i disastri;
e governi su tutto, e di nulla t'affanni.

Bellezza, tu cammini sui morti che deridi;
leggiadro fra i tuoi vezzi spicca l'Orrore, mentre,
pendulo fra i più cari ciondoli, l'Omicidio
ti ballonzola allegro sull'orgoglioso ventre.

Torcia, vola al tuo lume la falena accecata,
crepita, arde e loda il fuoco onde soccombe!
Quando si china e spasima l'amante sull'amata,
pare un morente che carezzi la sua tomba.

Venga tu dall'inferno o dal cielo, che importa,
Bellezza, mostro immane, mostro candido e fosco,
se il tuo piede, il tuo sguardo, il tuo riso la porta
m'aprono a un Infinito che amo e non conosco?

Arcangelo o Sirena, da Satana o da Dio,
che importa, se tu, o fata dagli occhi di velluto,
luce, profumo, musica, unico bene mio,
rendi più dolce il mondo, meno triste il minuto?


Hymne à la Beauté

Viens-tu du ciel profond ou sors-tu de l'abîme,
Ô Beauté? ton regard, infernal et divin,
Verse confusément le bienfait et le crime,
Et l'on peut pour cela te comparer au vin.

Tu contiens dans ton oeil le couchant et l'aurore;
Tu répands des parfums comme un soir orageux;
Tes baisers sont un philtre et ta bouche une amphore
Qui font le héros lâche et l'enfant courageux.

Sors-tu du gouffre noir ou descends-tu des astres?
Le Destin charmé suit tes jupons comme un chien;
Tu sèmes au hasard la joie et les désastres,
Et tu gouvernes tout et ne réponds de rien.

Tu marches sur des morts, Beauté, dont tu te moques;
De tes bijoux l'Horreur n'est pas le moins charmant,
Et le Meurtre, parmi tes plus chères breloques,
Sur ton ventre orgueilleux danse amoureusement.

L'éphémère ébloui vole vers toi, chandelle,
Crépite, flambe et dit: Bénissons ce flambeau!
L'amoureux pantelant incliné sur sa belle
A l'air d'un moribond caressant son tombeau.

Que tu viennes du ciel ou de l'enfer, qu'importe,
Ô Beauté! monstre énorme, effrayant, ingénu!
Si ton oeil, ton souris, ton pied, m'ouvrent la porte
D'un Infini que j'aime et n'ai jamais connu?

De Satan ou de Dieu, qu'importe? Ange ou Sirène,
Qu'importe, si tu rends, - fée aux yeux de velours,
Rythme, parfum, lueur, ô mon unique reine! -
L'univers moins hideux et les instants moins lourds?
 

24 gennaio 2016

Dialogo con Leucò 23. Gli uomini - Cesare Pavese

Paolo Veronese - il ratto di Europa
Dialogo con Leucò 23. Gli uomini - Cesare Pavese



Di Cratos e Bia – il Potere e la Forza – dice Esiodo che “la casa non è lontana da Zeus”, in premio dell’aiuto che gli diedero nella lotto contro i Titani. Tutti sanno della fuga di Zeus e dei molti suoi casi.
(Parlano Cratos e Bia)

CRATOS Se n’è andato e cammina tra gli uomini. Prende la strada delle valli, e si sofferma tra le vigne o in riva al mare. Qualche volta si spinge fino alle porte di una città. Nessuno direbbe che è Padre e Signore. Mi chiedo a volte cosa vuole, cosa cerca. Dopo che tanto si è lottato per dargli il mondo - le campagne, le vette e le nubi - nelle mani. Potrebbe sedere quassù indisturbato. Nossignore. Cammina.
BIA che c’è di strano? Chi è signore si scapriccia.
CRATOS Lontano dal monte e da noi, lo capisci? E deve a noialtri, servi suoi, se è signore. S’accontenti che il mondo lo teme e lo prega. Che gli fanno quei piccoli uomini?
BIA Sono parte del mondo anche loro, mio caro.
CRATOS Non so, qualche volta non è più com’era prima. Nostra madre lo disse: “Verrà come la bufera, e le stagioni cambieranno”. Questo figlio del Monte che comanda col cenno, non è più come i vecchi signori - la Notte, la Terra, il vecchio Cielo o il Caos. Si direbbe che il mondo è diviso. Un tempo le cose accadevano. Di ogni cosa veniva la fine, ed era un tutto che viveva. Adesso invece c’è una legge e c’è una mente. Lui s’è fatto immortale e con lui i suoi servi. Anche i piccoli uomini pensano a noi; sanno che devono morire e ci contemplano. E fin qui li capisco, è per questo che abbiamo combattuto i Titani. Ma che lui, il celeste che sopra il Monte ci promise questi doni, lasci le vette e se ne vada a scapricciarsi ogni momento e farsi uomo tra gli uomini, a me non piace. E a te, sorella?
BIA Non sarebbe signore se la legge che ha fatto non potesse interromperla. Ma l’interrompe poi davvero?
CRATOS Non lo capisco, questo è il fatto. Quando noi ci buttammo sui monti, lui sorrideva come avesse già vinto. Combatteva con cenni e con brevi parole. Non disse mai di esser sdegnato; il suo nemico era già a terra e lui ancora sorrideva. Schiacciò così Titani e uomini. Allora mi piacque; non ebbe pietà. E sorrise così un’altra volta: quando pensò di dare agli uomini la donna, la Pandora, per punirli del furto del fuoco. Com’è possibile che adesso si compiaccia di vigne e città?
BIA Forse la donna, la Pandora, non è solo un malanno. Perché non vuoi che si compiaccia di costei, se fu un suo dono?
CRATOS Ma tu sai cosa sono gli uomini? Miserabili cose che dovranno morire, più miserabili dei vermi o delle foglie dell’altr’anno che son morti ignorandolo. Loro invece lo sanno e lo dicono, e non smettono mai d’invocarci, di volerci strappare un favore o uno sguardo, di accenderci fuochi, proprio quei fuochi che han rubato dentro il cavo della canna. E con le donne, con le offerte, coi canti e le belle parole, hanno ottenuto che noialtri, gli immortali, che qualcuno di noi discendesse tra loro, li guardasse benigno, ne avesse figlioli. Capisci il calcolo, l’astuzia miserabile e sfrontata? Ti persuadi perché mi ci scaldo?
BIA Lo disse la madre, e lo dici tu stesso, che il mondo è mutato. Non da oggi il signore dei monti discende tra gli uomini. Dimentichi forse che visse nei tempi fuggiasco su un’isola del mare, là morì e venne sepolto, come allora toccava agli dèi?
CRATOS Queste cose si sanno.
BIA Ma non ne segue che il suo cenno sia scaduto. Sono invece scaduti i signori del Caos, quelli che un tempo hanno regnato senza legge. Prima l’uomo la belva e anche il sasso era dio. Tutto accadeva senza nome e senza legge. Ci voleva la fuga del dio, la grossa empietà del suo confino tra gli uomini quando ancora era bimbo e poppava alla capra, e poi la crescita sul monte tra le selve, le parole degli uomini e le leggi dei popoli, e il dolore la morte e il rimpianto, per fare del figlio di Crono il buon Giudice, la Mente immortale e inquieta. Tu credi di averlo aiutato a schiacciare i Titani? Se l’hai detto tu stesso: combatteva come avesse già vinto. Il bambino rinato divenne signore vivendo tra gli uomini.
CRATOS E sia pure. La legge valeva la pena. Ma perché insiste a ritornarci ora che è  il re di tutti noi?
BIA Fratello fratello, vuoi capirla che il mondo, se pure non è più divino, proprio per questo è sempre nuovo e sempre ricco, per chi discende dal Monte? La parola dell’uomo, che sa di patire e si affanna e possiede la terra, rivela a chi l’ascolta meraviglie. Gli dèi giovani, venuti sui signori del Caos, tutti camminano la terra fra gli uomini. E se pure qualcuno conserva l’amore dei luoghi montani, delle grotte, dei cieli selvaggi, questo fanno perché adesso gli uomini sono giunti anche là e la loro voce ama violare quei silenzi,
CRATOS Passeggiasse soltanto, il figliolo di Crono. Ascoltasse e punisse, secondo la legge. Ma com’è che s’induce a godere e lasciarsi godere, com’è che ruba donne e figli a quei mortali?
BIA Se tu ne avessi conosciuto, capiresti. Sono poveri vermi ma tutto tra loro è imprevisto e scoperta. Si conosce la bestia, si conosce l’iddio, ma nessuno, nemmeno noialtri, sappiamo il fondo di quei cuori. C’è persino, tra loro, chi osa mettersi contro il destino. Soltanto vivendo con loro e per loro si gusta il sapore del mondo.
CRATOS O delle donne, delle figlie di Pandora, quelle bestie?
BIA Donne o bestie, è lo stesso. Cosa credi di dire? Sono il frutto più ricco della vita mortale.
CRATOS Ma Zeus le accosta come bestia o come dio?
BIA Sciocco, le accosta come uomo. È tutto qui.

Dialoghi con Leucò. La vigna - Cesare Pavese

John Vanderlyn - Arianna abbandonata sull'isola di Nasso
Dialoghi con Leucò. La vigna - Cesare Pavese


Ariadne, abbandonata da Teseo dopo l'avventura del labirinto, venne raccolta sull'isola di Nasso da Dioniso di ritorno dall'India, e finì in cielo tra le costellazioni.

(Parlano Leucotea ed Ariadne)


LEUCOTEA Piangerai per molto tempo ancora, Ariadne?

ARIADNE E tu di dove vieni?

LEUCOTEA Dal mare, come te. Dunque, hai smesso di piangere?

ARIADNE Non sono più sola.

LEUCOTEA Credevo che voi donne mortali piangeste soltanto quando qualcuno vi ascolta.

ARIADNE Per una ninfa, sei cattiva.

LEUCOTEA Così, se n'è andato anche lui? Perché credi che ti abbia lasciata?

ARIADNE Non mi hai detto chi sei.

LEUCOTEA Una donna che ha fatto quel che tu non hai fatto. Ho tentato di uccidermi in mare. Mi chiamavano Ino. Una dea mi ha salvata. Ora sono la ninfa dell'isola.

ARIADNE Che vuoi da me?

LEUCOTEA Se parli così, già lo sai. Vengo a dirti che il tuo caro ragazzo dalle belle parole e dai ricci violetti, se n'è andato per sempre. Ti ha piantata. La vela nera che è scomparsa sarà l'ultimo ricordo che ti lascia. Corri, strilla, dibattiti, è fatta.

ARIADNE Anche te hanno piantato, ché hai cercato di ucciderti?

LEUCOTEA Non si tratta di me. Ma non meriti il discorso che ti faccio. Sei sciocca e testarda.

ARIADNE Senti, ninfa del mare, che tu deva parlarmi, non so. Quello che dici è poco o troppo. Se vorrò uccidermi, saprò farlo da sola.

LEUCOTEA Credi a me, scioccherella. Il tuo dolore non è nulla.

ARIADNE E perché vieni a dirmelo?

LEUCOTEA Perché credi ti abbia lasciata?

ARIADNE O ninfa, smettila...

LEUCOTEA Ecco, piangi. Così almeno è più facile. Non parlare, non serve. Così se ne vanno sciocchezza e superbia. Così il tuo dolore compare per quello che è. Ma finché il cuore non ti scoppierà, finché non latrerai come una cagna e vorrai spegnerti nel mare come un tizzo, non potrai dire di conoscere il dolore.

ARIADNE M'è già scoppiato... il cuore...

LEUCOTEA Piangi soltanto, non parlare... Tu non sai nulla. Altro ti attende.

ARIADNE Come ti chiami adesso, ninfa?

LEUCOTEA Leucotea. Capiscimi, Ariadne. La vela nera se n'è andata per sempre. Questa storia è finita.

ARIADNE E' la mia vita che finisce.

LEUCOTEA Altro ti attende. Tu sei sciocca. Non veneravi nessun dio nella tua terra?

ARIADNE Quale dio può ridarmi la nave?

LEUCOTEA Ti domando che dio conoscevi.

ARIADNE C'è un monte in patria che incuteva spavento anche a quelli della nave. Là sono nati grandi dèi. Li adoriamo. Li ho già tutti invocati, ma nessuno mi aiuta. Che farò? dimmi tu.

LEUCOTEA Che cosa attendi dagli dei?

ARIADNE Non attendo più nulla.

LEUCOTEA E allora ascolta. Qualcuno si è mosso.

ARIADNE Che vuol dire?

LEUCOTEA Se ti parlo, qualcuno si è mosso.

ARIADNE Tu sei solo una ninfa.

LEUCOTEA Può darsi che una ninfa annunci un gran dio.

ARIADNE Chi, Leucotea, chi mai?

LEUCOTEA Pensi al dio o al bel ragazzo?

ARIADNE Non lo so. Come dici? Io mi prostro agli dèi.

LEUCOTEA Dunque hai capito. E' un nuovo dio. E' il più giovane di tutti gli dèi. Ti ha veduta e gli piaci. Lo chiamano Dioniso.

ARIADNE Non lo conosco.

LEUCOTEA E' nato a Tebe e corre il mondo. E' un dio di gioia. Tutti lo seguono e lo acclamano.

ARIADNE E' potente?

LEUCOTEA Uccide ridendo. Lo accompagnano i tori e le tigri. La sua vita è una festa e tu gli piaci.

ARIADNE Ma come mi ha vista?

LEUCOTEA Chi può dirlo. Tu sei mai stata in un vigneto in costa a un colle lungo il mare, nell'ora lenta che la terra dà il suo odore? Un odore rasposo e tenace, tra di fico e di pino? Quando l'uva matura, e l'aria pesa di mosto? O hai mai guardato un melograno, frutto e fiore? Qui regna Dioniso, e nel fresco dell'edera, nei pineti e sulle aie.

ARIADNE Non c'è un luogo solitario abbastanza che gli dèi non ci vedano?

LEUCOTEA Cara mia, ma gli dèi sono il luogo, sono la solitudine, sono il tempo che passa. Verrà Dioniso, e ti parrà di esser rapita da un gran vento, come quei turbini che passano sulle aie e nei vigneti.
ARIADNE Quando verrà?

LEUCOTEA Cara, io lo annuncio. Per questo la nave è fuggita.

ARIADNE E a te chi l'ha detto?

LEUCOTEA Sono di Tebe, Ariadne. Sono sorella di sua madre.

ARIADNE Nella mia patria si racconta che sull'Ida nascevano dèi. Nessun mortale è mai salito oltre gli ultimi boschi. Noi temiamo anche l'ombra che cade dal monte. Come posso accettare le cose che dici?

LEUCOTEA Tu hai molto osato, piccola. Non era per te come un dio anche colui dai ricci viola?
ARIADNE Gli ho salvata la vita, a questo dio. Che ne ho avuto?

LEUCOTEA Molte cose. Hai tremato e sofferto. Hai pensato a morire. Hai saputo che cosa è un risveglio. Ora sei sola e aspetti un dio.

ARIADNE E lui com'è? molto crudele?

LEUCOTEA Tutti gli dèi sono crudeli. Che vuol dire? Ogni cosa divina è crudele. Distrugge l'essere caduco che resiste. Per svegliarti più forte, devi cedere al sonno. Nessun dio sa rimpiangere nulla.

ARIADNE Il dio tebano... questo tuo... hai detto che uccide ridendo?

LEUCOTEA Chi gli resiste. Chi gli resiste s'annienta. Ma non è più spietato degli altri. Sorridere è come il respiro per lui.

ARIADNE Non è diverso da un mortale.

LEUCOTEA Anche questo è un risveglio, bambina. Sarà come amare un luogo, un corso d'acqua, un'ora del giorno. Nessuno uomo val tanto. Gli dèi durano finché durano le cose che li fanno. Fin che le capre salteranno tra i pini e i vigneti, ti piacerà e gli piacerai.

ARIADNE Morirò come tutte le capre.

LEUCOTEA Sulle vigne, di notte, ci sono anche stelle. E' un dio notturno che ti aspetta. Non temere.

Dialoghi con Leucò. Gli argonauti - Cesare Pavese

Eracle al raduno con gli altri Argonauti. Cratere attico a figure rosse da Orvieto. Pittore dei Niobidi, 460-450 a.C. (Louvre)
Dialoghi con Leucò. Gli argonauti - Cesare Pavese


Il tempio sull’Acrocorinto, officiato da Ierodule, ci è ricordato anche da Pindaro. Che i giovani uccisori di mostri – compreso Teseo di Atene – abbiano tutti avuto guai da donne, si potrebbe supporlo se già la tradizione non lo suggerisse concorde.
Di una delle più atroci, Medea – maga e gelosa e infanticida – ci parla a lungo e con calore Euripide in una cara tragedia.
 (Parlano Iasone e Mélita).

IASONE Spalanca pure la cortina, Mélita; sento la brezza che la gonfia. In un mattino come questo anche Iasone vuol vedere il cielo. Dimmi il mare com’è; dimmi che accade sull’acqua del porto.
MÉLITA O re Iasone, com’è bello di quassù. Le banchine sono fitte di gente: una nave s’allontana in mezzo alle barche. È cosi limpido che si riflette capovolta. Tu vedessi le bandiere e le corone; quanta gente. Stanno perfino arrampicati sulle statue. Ho il sole negli occhi.
IASONE Saran venute anche le tue compagne, a salutarli. Le vedi, Mélita?
MÉLITA Non so, vedo tanti. E i marinai che ci salutano, piccini, attaccati alle funi.
IASONE Salutali, Mélita, dev’essere la nave di Cipro. Passeranno dalle tue isole. E con la fama di Corinto e del suo tempio, parleranno anche di te.
MÉLITA Che vuoi che dicano di me, signore? Chi vuoi che nelle isole si ricordi di me?
IASONE I giovani hanno sempre chi li ricorda. Si ripensa volentieri a chi è giovane. E gli dèi, non sono giovani? Per questo tutti li ricordiamo e li invidiamo.
MÉLITA Li serviamo, re Iasone. E anch’io servo la dea.
IASONE Ci sarà pure qualcuno, Mélita, un ospite, un marinaio, che sale al tempio per giacersi con te, non con altre. Qualcuno che parte del dono lo lascia a te sola. Io sono vecchio, Mélita, e non posso salire lassù, ma un tempo in Iolco – tu non eri ancor nata – avrei salito altro che un monte per trovarmi con te.
MÉLITA Tu comandi e noialtre ubbidiamo… Oh, la nave apre le vele. È tutta bianca. Vieni a vederla, re Iasone.
IASONE Resta tu alla finestra, Mélita. Io ti guardo mentre guardi la nave. È come se vi vedessi prendere il vento insieme. Io tremerei nella mattina. Sono vecchio. Vedrei troppe cose se guardassi laggiù.
MÉLITA La nave si piega nel sole. Come vola adesso! pare un colombo.
IASONE E va soltanto fino a Cipro. Da Corinto, dalle isole, ora salpano navi che solcano il mare. C’era un tempo che questo mare era tutto deserto. Noi per primi l’abbiamo violato. Tu non eri ancora nata. Quanto sembra lontano.
MÉLITA Ma è credibile, signore, che nessuno avesse osato attraversarlo?
IASONE C’è una verginità delle cose, Mélita, che fa paura più del rischio. Pensa all’orrore delle vette dei monti, pensa all’eco.
MÉLITA Non andrò mai sulle montagne. Ma non ci credo che il mare facesse paura a qualcuno.
IASONE Non ce la fece, infatti. Noi partimmo da Iolco una mattina come questa, ed eravamo tutti giovani e avevamo gli dèi dalla nostra. Era bello varcare, senza pensare all’indomani. Poi cominciarono i prodigi. Era un mondo più giovane, Mélita, i giorni come chiare mattine, le notti di tenebra spessa – dove tutto poteva succedere. Di volta in volta i prodigi erano fonti, erano mostri, eran uomini o rupi. Di noi ne scomparvero, qualcuno morì. Ogni approdo era un lutto. Ogni mattina il mare era più bello, più vergine. La giornata passava nell’attesa. Poi vennero piogge, vennero nebbie e schiume nere.
MÉLITA Queste cose si sanno.
IASONE Non era il mare il rischio. Noi s’era capito, d’approdo in approdo, che quel lungo cammino ci aveva cresciuti. Eravamo più forti e staccati da tutto – eravamo come dèi, Mélita – ma appunto questo ci attirava a far cose mortali. Sbarcammo al Fasi, su prati di còlchici. Ah ero giovane allora, e guardavo la sorte.
MÉLITA Quando si parla di voialtri, dentro il tempio, si abbassa la voce.
IASONE Qualche volta si ride, lo so, Mélita. Corinto è un’allegra città. E si dice, lo so: «Quando quel vecchio smetterà di chiacchierare dei suoi dèi? Tanto son morti come gli altri». E Corinto vuol vivere.
MÉLITA Noi si parla della maga, re Iasone, di quella donna che qualcuno ha conosciuto. Oh dimmi com’era.
IASONE Tutti conoscono una maga, Mélita, tranne a Corinto dove il tempio insegna a ridere. Tutti noialtri, vecchi o morti, conoscemmo una maga.
MÉLITA Ma la tua, re Iasone?
IASONE Violammo il mare, distruggemmo mostri, mettemmo piede sui prati del còlchico – una nube d’oro sfavillava nella selva – eppure morimmo ciascuno di un’arte di maga, ciascuno per l’incanto o la passione di una maga. La testa di uno di noialtri finì lacerata e stroncata in un fiume. E qualcuno ora è vecchio – e ti parla – che vide i suoi figli sacrificati dalla madre furente.
MÉLITA Dicono che non è morta, signore, che i suoi incanti hanno vinto la morte.
IASONE È il suo destino, e non l’invidio. Respirava la morte e la spargeva. Forse è tornata alle sue case.
MÉLITA Ma come ha potuto toccare i suoi figli? Deve aver pianto molto…
IASONE Non l’ho mai vista piangere. Medea non piangeva. E sorrise soltanto quel giorno quando disse che mi avrebbe seguito.
MÉLITA Eppure ti ha seguito, re Iasone, ha lasciato la patria e le case, e accettato la sorte. Fosti crudele come un giovane, anche tu.
IASONE Ero giovane, Mélita. E a quei tempi nessuno rideva di me. Ma ancora non sapevo che la saggezza è la vostra, quella del tempio, e chiedevo alla dea le cose impossibili. E cos’era impossibile per noi, distruttori del drago, signori della nuvola d’oro? Si fa il male per essere grandi, per essere dèi.
MÉLITA E perché vostra vittima è sempre una donna?
IASONE Piccola Mélita, tu sei del tempio. E non sapete che nel tempio – nel vostro – l’uomo sale per essere dio almeno un giorno, almeno un’ora, per giacere con voi come foste la dea? Sempre l’uomo pretende di giacere con lei – poi s’accorge che aveva a che fare con carne mortale, con la povera donna che voi siete e che son tutte. E allora infuria – cerca altrove di esser dio.
MÉLITA Eppure c’è chi si contenta, signore.
IASONE Si, chi è vecchio anzitempo o chi sale da voi. Ma non prima di aver tutto tentato. Non chi ha visto altri giorni. Hai sentito parlare del figlio d’Egeo, che discese nell’Ade a rapir Persefòne – il re d’Atene che morì scagliato in mare?
MÉLITA Ne parlano quelli del Fàlero. Fu anche lui navigatore come te.
IASONE Piccola Mélita, fu quasi un dio. E trovò la sua donna oltremare, una donna che – come la maga – l’aiutò nell’impresa mortale. L’abbandonò su un’isola, un mattino. Poi vinse altre imprese e altri cicli, ed ebbe Antiope, la lunare, un’amazzone indocile. E poi Fedra, luce del giorno, e anche questa si uccise. E poi Elena, figlia di Leda. E altre ancora. Fin che tentò di conquistare Persefòne dalle fauci dell’Ade. Una soltanto non ne volle, che fuggì da Corinto – l’assassina dei figli – la maga, lo sai.
MÉLITA Ma tu, signore, la ricordi. Tu sei più buono di quel re. Tu da allora non hai più fatto piangere.
IASONE Ho imparato a Corinto, a non essere un dio. E conosco te, Mélita.
MÉLITA O Iasone, che cosa son io?
IASONE Una piccola donna marina, che discende dal tempio quando il vecchio la chiama. E anche tu sei la dea.
MÉLITA Io la servo.
IASONE L’isola del tuo nome, in occidente, è un gran santuario della dea. Tu lo sai?
MÉLITA È un nome piccolo, signore, che mi han dato per gioco. A volte penso a quei bei nomi delle maghe, delle donne infelici che han pianto per voi…
IASONE Megàra Iole Auge Ippòlita Onfàle Deiàneira… Sai chi fecero piangere?
MÉLITA Oh ma quello fu un dio. E adesso vive fra gli dèi.
IASONE Cosi si racconta. Povero Eracle. Era anche lui con noi. Non lo invidio.