Spirit of Harlem - Mural By Louis del Sarte Livens Up 125th Street
Il re di Harlem – Federico Garcia Lorca
Con un
cucchiaio di legno
strappava
gli occhi ai coccodrilli
e
bastonava il sedere delle scimmie.
Con un
cucchiaio di legno.
Il
fuoco di sempre dormiva nella selce
e gli
scarafaggi ubriachi d’anice
dimenticavano
il muschio dei villaggi.
Quel
vecchio coperto di funghi
andava
là dove piangevano i neri
mentre
cricchiava il cucchiaio del re
e
arrivavano le cisterne di acqua putrida.
Le rose
fuggivano lungo il filo
delle
ultime curve di vento
e nei
mucchi di zafferano
i
bambini martoriavano piccoli scoiattoli
con un
rossore di frenesia macchiata.
Bisogna
attraversare i ponti
e
arrivare al rumore nero
perché
il profumo di polmone
ci
martelli le tempie col suo vestito
di
ananas caldo.
Bisogna
ammazzare il biondo venditore di acquavite,
tutti
gli amici della mela e della sabbia;
ed è
necessario colpire a pugni chiusi
le
piccole ebree che tremano piene di bollicine,
perche
il re di Harlem canti con la sua folla,
perché
i coccodrilli dormano in lunghe file,
sotto
l’amianto della luna,
e
perché nessuno dubiti dell’infinita bellezza
dei
piumini, delle grattugie, dei rami e dei tegami delle cucine.
Ahi, Harlem! Ahi, Harlem! Ahi, Harlem!
Non c’è
angoscia paragonabile ai tuoi occhi oppressi,
al tuo
sangue rabbrividito dentro l’eclissi oscura,
alla
tua violenza scarlatta, sordomuta nella penombra,
al tuo
grande re prigioniero, con la divisa di usciere.
***
La
notte aveva una fessura e quiete salamandre d’avorio.
Le
ragazze americane
portavano
bambini e monete nel ventre
e i
ragazzi svenivano nella croce dello stiracchiamento.
Sono
loro.
Sono
loro quelli che bevono il whisky d’argento vicino ai vulcani
e
inghiottono pezzettini di cuore sulle gelate montagne dell’orso.
Quella
notte il re di Harlem, con un durissimo cucchiaio,
strappava
gli occhi ai coccodrilli
e
bastonava il sedere delle scimmie.
Con un
durissimo cucchiaio.
I neri
piangevano confusi
tra
ombrelli e soli d’oro;
i
mulatti stiravano gonne, ansiosi di arrivare al torso bianco,
e il
vento appannava gli specchi
e
spezzava le vene ai ballerini.
Neri!
Neri! Neri! Neri!
Il
sangue non ha porte nella vostra notte a pancia in su.
Non c’è
rossore. Sangue furioso al di sotto delle pelli,
vivo
sulla punta del pugnale e nel petto dei paesaggi,
sotto
le pinze e le ginestre di una celesta luna del Cancro.
Sangue
che cerca per mille strade morti infarinate e cenere di nardi,
cieli
deserti, in discesa, dove le colonie dei pianeti
rotolino
sulle spiagge con gli oggetti abbandonati.
Sangue
che guarda lento con la coda dell’occhio,
fatto
di sparti strizzati e nettari sotterranei.
Sangue
che ossida l’aliseo trascurato in un’orma
e
dissolve le farfalle sui vetri della finestra.
È il
sangue che viene, che verrà
per i
tetti e le terrazze, da ogni parte,
per
bruciare la clorofilla delle donne bionde,
per
gemere ai piedi dei letti, davanti all’insonnia dei lavandini,
ed
esplodere in un’aurora di tabacco e giallo smorto.
Bisogna
scappare!,
scappare
dietro gli angoli e chiudersi negli ultimi piani,
perché
l’intimo del bosco penetrerà dalle fenditure
lasciando
nella vostra carne una lieve orma di eclisse
e una
falsa tristezza di guanto scolorito e rosa chimica.
***
È
attraverso il silenzio sapientissimo
che
cuochi e camerieri e quelli che puliscono con la lingua
le
ferite dei milionari
cercano
il re per le strade o negli angoli del salnitro.
Un
vento ligneo del sud a sguancio sul fango nero
sputa
alle barche rotte e si pianta stiletti nelle spalle.
Un
vento del sud che porta
zanne,
girasoli, alfabeti,
e una
pila di Volta con le vespe affogate.
L’oblio
si esprimeva con tre gocce d’inchiostro sul moccolo.
L’amore,
con un solo volto invisibile a fior di pietra.
Midolli
e corolle componevano sulle nuvole
un deserto
di talli, senza una sola rosa.
A
sinistra, a destra, verso Sud e verso Nord,
si alza
il muro impassibile
per la
talpa e il punzone dell’acqua.
Non cercatene,
neri, la crepa
per
trovare la maschera infinita.
Cercate
il grande sole del centro
divenuto
ananas ronzante.
Il sole
che scivola sui boschi
certo
di non incontrare una ninfa.
Il sole
che distrugge numeri e non ha mai attraversato un sogno,
il sole
tatuato che scende per il fiume
e
muggisce seguito dai caimani.
Neri!
Neri! Neri! Neri!
Mai
serpe, né zebra, né mula
sono
impallidite morendo.
Il
tagliaboschi non sa quando spirano
i
clamorosi alberi da abbattere.
Aspettare
sotto l’ombra vegetale del vostro re
che le
cicute, i cardi e le ortiche turbino le estreme terrazze.
Allora,
neri, allora, allora,
potete
baciare con frenesia le ruote delle biciclette,
mettere
coppie di microscopi nelle tane degli scoiattoli
e alla
fine di certo danzare, mentre i fiori increspati
assassinano
il nostro Mosè quasi nei giunchi del cielo.
Ahi,
Harlem mascherata!
Ahi,
Harlem, minacciata da una folla di vestiti senza testa!
Mi
giunge il tuo rumore.
Mi
giunge il tuo rumore che attraversa tronchi e ascensori,
attraverso
lamine grigie,
dove
galleggiano le tue automobili coperti di denti,
attraverso
i cavalli morti e i crimini minuscoli,
attraverso
il tuo grande re disperato
la cui
barba arriva fino al mare.
Traduzione di Valerio Nardoni
da Federico Garcia Lorca, Nuda canta la notte, a cura di Valerio Nardoni
Corriere
delle Sera - Un secolo di poesia, a cura di Nicola Crocetti