(…)
«Forse la vera
fotografia totale, - pensò, - è un mucchio di frammenti d'immagini private,
sullo sfondo sgualcito delle stragi e delle incoronazioni».
Piegò i lembi dei
giornali in un enorme involto per buttarlo nella spazzatura, ma prima volle
fotografarlo. Dispose
i lembi in modo che si vedessero bene due metà di foto di giornali diversi che nell'involto
si trovavano per caso a combaciare. Anzi, riaprì un po’ il pacco perché
sporgesse un pezzo di cartoncino lucido d'un ingrandimento lacerato. Accese un
riflettore; voleva che nella sua foto si potessero riconoscere le immagini
mezzo appallottolate e stracciate e nello stesso tempo si sentisse la loro
irrealtà d'ombre di inchiostro casuali, e nello stesso tempo ancora la loro
concretezza d'oggetti carichi di significato, la forza con cui s'aggrappavano
all'attenzione che cercava di scacciarle.
Per far entrare tutto
questo in una fotografia occorreva conquistare un'abilità tecnica
straordinaria, ma solo allora Antonino avrebbe potuto smettere di fotografare.
Esaurite tutte le possibilità, nel momento in cui il cerchio si chiudeva su se
stesso, Antonino capì che fotografare fotografie era la sola via che gli
restava, anzi la vera via che lui aveva oscuramente cercato fino allora.
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