Probabilmente
Monsignor Ficarra seppe subito, con candore e dolore, dare un nome all’anonimo.
Ma non se ne curò poi tanto: conosceva i difetti e le colpe di coloro che
l’anonimo chiamava per nome, ma sapeva anche quanto peggiori fossero quei
“sacerdoti di retto sentire” i cui nomi, e primamente il proprio, l’anonimo
taceva.. Più forse l’angustiava, in quei giorni, la lettera della Sacra
Congregazione Concistoriale inviata agli Eccellentissimi Ordinari d’Italia.
Datata 31 marzo 1947, protocollo numero 216/45, firmata dal cardinale Rossi, la
lettera diceva:
Eccellenza
reverendissima.
Già
due volte nell’anno 1945 questa Sacra Congregazione per Augusto mandato si
rivolse agli Ecc.mi Ordinari d’Italia per richiamare – se pur ve ne fosse
bisogno - la Loro attenzione sul dovere
pastorale di istruire i fedeli in occasione e in prossimità di particolari
eventi dai quali dipendevano le sorti del Paese nell’ordine, sovra tutto,
morale e sociale.
Sa
bene questa Sacra Congregazione come gli Ecc.mi Arcivescovi e Vescovi
adempirono i doveri del Loro sacro ministero, istruendo in omni patientia et doctrina, e come poterono così conseguire, in
genere, consolanti resultati; è pur sicura questa medesima S. Congregazione che
al rinnovarsi della circostanze gli stessi Ecc.mi Presuli ripeteranno, in tempo
opportuno, e continueranno sine
intermissione, i Loro solerti insegnamenti; pur nonostante questo Sacro
Dicastero vuole ancora ripetere, confortato dalla Superiore approvazione,
essere necessario impartire ai fedeli chiaramente e ripetutamente, sia che si
tratti di elezioni politiche o di elezioni amministrative, di elezioni
nazionali o di elezioni regionali, le seguenti norme:
1)
In considerazione dei pericoli, ai quali sono esposti la religione e il bene
pubblico, e la cui gravità esige la collaborazione concorde degli onesti, tutti
coloro, che hanno diritto di voto, , di qualsiasi condizione, sesso od età,
senza alcuna eccezione, e perciò anche se professano un particolare religioso
tenor di vita, sono in coscienza strettamente e gravemente obbligati a fa uso
di quel diritto.
2)
I Cattolici possono dare il loro voto soltanto a quei candidati o a quelle
liste di candidati, di cui si ha la certezza che rispetteranno e difenderanno
l’osservanza della legge divina e i diritti della religione e della Chiesa
nella vita privata e pubblica.
Quanto
più il programma e l’azione pratica dei singoli candidati o di una lista di
candidati renderanno giustificata e fondata quella certezza, con tanta maggiore
tranquillità di coscienza i Cattolici potranno votare in loro favore.
In
attesa di cortese cenno di ricevuta della presente, con distinto ossequio mi
professo
dell’Ecc.
Vostra Rev.ma
come
fratello
L’anno
precedente, alle elezioni amministrative, non “consolanti resultati” si erano
avuti a Patti: La Democrazia Cristiana era stata sconfitta, la meglio avevano
avuto due liste in cui si erano coalizzati, e al tempo stesso divisi, laici e
comunisti: e dalla Democrazia Cristiana la responsabilità era stata attribuita
al vescovo. In data 22 ottobre 1946, il segretario della sezione democristiana notificava
a monsignor Ficarra la sconfitta (che certo il vescovo non ignorava) e le
proprie dimissioni:
…
compio l’ingrato dovere di significare alla Ecc. Vostra Rev.ma che a Patti,
nelle elezioni amministrative, ha vinto il comunismo… È vergogna, se non
delitto imperdonabile, che sia avvenuto a Patti, sede Vescovile… Dappertutto si
lavora per Dio, a Patti si è lavorato per Satana… Cosciente di aver compiuto il
mio dovere di sacerdote e cittadino lascio il mio posto di combattimento, non
senza però elevare una parola di forte biasimo contro tutti coloro che hanno
tradito la Democrazia Cristiana, e per conseguenza la Chiesa… Mi auguro che l’Autorità
Ecclesiastica per il bene comune, della Chiesa e di Patti, intervenga subito a
risolvere la crisi che travaglia i vari ceti sociali da essa dipendenti, con
provvedimenti energici e con assistenza continua e intelligente, se non si
voglia correre il rischio di avere a Patti definitivamente oltre la sede del
Vescovo anche quella di Stalin.
Cinque
giorni dopo, si riuniva, per prendere atto delle dimissioni del segretario, il
Consiglio della Democrazia Cristiana. Della riunione veniva redatto un verbale
in cui tra le tante cose “considerate” una ce n’era di diretta accusa al
vescovo:
Considerato
che il Vescovo di Patti, nella preparazione delle elezioni preferì godersi l’aria
della sua Canicattì, anziché portare il suo contributo alla Democrazia
Cristiana e che, ritornato in sede il 14 ottobre, cioè alla vigilia delle
elezioni, inviò dal Vicario Generale una commissione di donne, che era andata
per protestare contro la indegna condotta del Clero, e che il Vicario Generale,
anziché ascoltarle benignamente, la trattò male…
Dicitura
invero poco chiara, , per quell’inviò
che va così sciolto: non volle ricevere quella delegazione di donne; la
scrollò, che ne ascoltasse la protesta, sul vicario. E il vicario, o perché quanto
il vescovo insofferente a quella protesta, o per protesta contro il vescovo che
gli rifilava quella seccatura, o per insieme le due ragioni, la trattò male.
Ferita che, , tra le tante inferte alla Democrazia Cristiana di Patti, era la
più profonda; sicché, dopo la finale considerazione, che “i seicentottantadue democristiani
rimasti fedeli” non erano più disposti a tale fedeltà ove “il Vescovo di Patti
non punisca i colpevoli e non collabori con tutte le forze dipendenti a favore
della Democrazia Cristiana” il Consiglio, unanime, e sempre protestando contro
i traditori, si dimetteva.
Copie
del verbale furono mandate al papa, alla Concistoriale, alla Segreteria di
Stato del Vaticano, al Vescovo di Patti e a quello di Agrigento (poiché
conteneva anche accuse a un prete della diocesi agrigentina). A quanto pare, la
copia destinata a monsignor Ficarra fu portata a mano da una commissione di democristiani
che voleva a voce ribadirla e chiosarla: ma il vescovo non volle riceverla.
Gliela mandarono per posta, e accompagnata da una lettera di deplorazione:
Memore
dell’evangelico “bussate e vi sarà aperto” era venuta la Commissione suddetta a
bussare al Vostro cuore paterno per ricevere conforto ed aiuto nell’ora triste
che i sinceri democratici cristiani pattesi attraversano; ma non le fu aperto.
In simili circostanze nessuna decisione poteva prendere il Consiglio direttivo
della Sezione tranne quella di dimettersi; ciò non significa che abbia voluto
ratificare l’atto di morte della Democrazia Cristiana pattese. Significa,
invece, che il Consiglio vuole che essa risorga dalla sconfitta più robusta e
più decisa a combattere per l’affermazione dei principi sociali della Chiesa:
la Sezione democristiana di Patti sarà, cioè, ricostituita con l’aiuto di Dio e
con la buona volontà di quegli uomini che ad essa, nelle elezioni politiche ed
in quelle amministrative, consacrarono il loro tempo e le proprie energie.
Che
voleva dire che non avevano più speranza, i democristiani di Patti, di ricevere
conforto ed aiuto da monsignor Ficarra: ormai soltanto speravano che se ne
andasse. Per dimissione: da uomo “santo” e “dotto” qual era e inadatto, appunto
per santità e dottrina, al nuovo corso delle cose. O per trasferimento: come un
maresciallo dei carabinieri che comincia a diventare scomodo, un giudice che
comincia a diventare curioso.