Eic Bowman - Bakery girls
da Dolce come il cioccolato - Laura
Esquivel
(…)
E così, abbracciate, piansero finché a
Tita non rimasero più lacrime negli occhi. Allora pianse a secco, e dicono che
fa ancora più male, come il parto asciutto, però almeno aveva smesso di bagnare
l’impasto della torta, e poté passare alla fase successiva, che è quella del
ripieno.
Ripieno
150 grammi di polpa di
«chabacano»
150 grammi di zucchero
semolato
Preparazione
Si fanno bollire i chabacanos
in pochissima acqua e poi si passano al setaccio; in mancanza di questo, si può
usare un volgare colino. Si versa questa purea in una casseruola, si aggiunge
lo zucchero e si mette il tutto sul fuoco senza smettere di rimestare finché
non diventa marmellata. Allora la si toglie dal fuoco e la si lascia
raffreddare prima di farcire con essa la torta, ovviamente dopo aver tagliato
quest’ultima a metà.
Per fortuna, un mese prima delle
nozze, Nacha e Tita avevano preparato parecchi vasi di conserva di chabacanos, fichi e camotes con ananas.
Grazie a questo, non si trovarono costrette a preparare la marmellata quello
stesso giorno.
Erano abituate a preparare in cortile
quantità enormi di marmellata per utilizzare la frutta di stagione. Mettevano
un pentolone di frutta sul fuoco e per rimestare la marmellata si coprivano le
braccia con vecchie lenzuola. Questo evitava che qualche schizzo, saltando,
bruciasse loro la pelle.
Appena Tita aprì il barattolo, l’odore
dei chabacanos la riportò al pomeriggio in cui avevano
preparato la marmellata. Tita veniva dall’orto portando la frutta nella gonna
perché aveva dimenticato la cesta. Entrando in cucina con la gonna arrotolata,
quale non fu la sua sorpresa nel trovarvi Pedro, che stava andando nel cortile
posteriore a preparare il calesse. Bisognava recarsi in paese a consegnare
delle partecipazioni e siccome quel giorno il carrettiere non si era presentato
alla fattoria, toccava a lui sbrigare la faccenda. Non appena lo vide, Nacha
uscì quasi di corsa dalla cucina, con la scusa di andare a prendere dell’epazote
per i fagioli. Ma per la sorpresa, Tita lasciò cadere alcuni chabacanos.
Pedro si precipitò a raccoglierglieli. E piegandosi poté in parte vedere le
gambe di Tita rimaste scoperte.
Tita, per evitare che Pedro la
guardasse, lasciò andare la gonna, e nel far questo, tutti i chabacanos
rotolarono sulla testa di Pedro.
«Mi scusi Pedro. Le ho fatto male?».
«Mai come gliene ho fatto io. Lasci
che le dica le mie intenzioni...».
«Non le ho chiesto spiegazioni».
«È necessario che le spieghi alcune
cose..:».
«Una volta ho ascoltato le sue parole
ed erano menzogne, non voglio farlo più...».
E dicendo questo, Tita uscì in fretta
dalla cucina per la porta che dava in salotto, dove Chencha e Gertrudis stavano
ricamando il lenzuolo nuziale. Era un lenzuolo di seta bianca, con al centro un
forellino delicatamente lavorato. Questo pertugio era destinato a mostrare
soltanto le parti nobili della sposa nei momenti di intimità coniugale. Avevano
avuto davvero fortuna a trovare della seta francese in quei tempi d’instabilità
politica. La rivoluzione rendeva insicuri i viaggi all’interno del paese; e
così, se non fosse stato per un cinese dedito al contrabbando, non avrebbero
potuto avere il tessuto. Mamma Elena non avrebbe mai permesso che le figlie
corressero dei rischi andando nella capitale a comprare l’occorrente per il
vestito e il corredo di Rosaura. Questo cinesino era abbastanza furbo: vendeva
merce nella capitale accettando d’essere pagato con banconote emesse
dall’esercito rivoluzionario del nord, che lì avevano scarsissimo valore e non
si potevano utilizzare. Ma le otteneva certamente a prezzi irrisori e con quel
denaro se ne andava al nord, dove le banconote riacquistavano il loro valore
reale e così comprava la mercanzia.
Al nord, naturalmente, accettava a
prezzi infimi le banconote emesse nella capitale e fece così durante tutta la
rivoluzione, fino a diventare milionario. Ma l’importante fu che Rosaura,
grazie a lui, poté usufruire dei tessuti più raffinati ed eleganti per le sue
nozze.
Tita rimase come ipnotizzata di fronte
al candore del lenzuolo; erano stati soltanto alcuni secondi, ma sufficienti a
causarle una specie di cecità. Ovunque posasse lo sguardo vedeva solo il colore
bianco. Rosaura, che stava scrivendo a mano degli inviti, le sembrava un niveo
fantasma. Dissimulò così bene quanto le stava accadendo che nessuno se ne
accorse.
Non voleva prendersi un’altra sgridata
da Mamma Elena. E così, quando i Lobo vennero a portare il loro regalo di
nozze, cercò di concentrarsi per scoprire chi stesse salutando, perché le
sembrava di assistere a uno spettacolo d’ombre cinesi coperte da un lenzuolo
bianco. Fortunatamente la voce stridula di Paquita le fornì la soluzione e poté
salutarli senza problemi.
(…)
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