(…)
Domani
mi sposo. E’ usanza che il giorno prima del matrimonio tutte le donne della mia
famiglia si riuniscano per dare consigli alla sposa, fare gli auguri, portare
regali, riallacciare le fila di affetti antichi. E insegnare quel poco di sesso
appreso nel corso della loro vita, ché prima non se ne può parlare. Tutte
insieme ci raccontiamo le cose e nel mentre incocciamo il cous cous, un piatto
che richiede molta fatica, lunga preparazione, occhi attenti di gente giovane e
mani anziane, esperte nel mescolare gli ingredienti. A poco a poco che le
femmine arrivano, si trovano una collocazione e cominciano a lavorare. La zia
Rosa è la più vecchia, perciò sta assittata, ché non Può gettare un passo, e ci
controlla a tutte facendo finta di essere sorda quando non le conviene sentire.
Fifidda
è arrivata presto, scura scura che pare venuta per piangere un morto, ha
portato lei la semola. Mia madre l’ha rimproverata subito: “Fifì, dove sei
stata? Ancilluzza si deve sposare, non ti vediamo da una simana e ci hai pure
la faccia di una nisciutaq salla sepoltura”
Fifidda
non rispose, si toglie la giacca, posa le collane sulla credenza, si spoglia
davanti a tutti. “Fifidda!”, la voce di mia mamma irritata e vergognosa
sottolinea la sfrontatezza di mia sorella; lei si mette una vesta lunga,
bianca, si lava le mani e comincia con rabbia a pestare l’aglio. Chissà a chi
le deve dare tutte quelle legnate.
Mio
padre ormai è malato da tempo e non va più a pescare. La sua pensione basta a
malapena a mantenere la famiglia, ma mia madre riesce sempre a pagare tutto e a
fine mese non ha debiti. Lu zù Nino, vecchio amico di famiglia, a modo suo mi
ha fatto il regalo di nozze: questa mattina presto ha portato due cassette di
pesce piccolo, un poco di trigliette, tre bacinelle piene di cozze e vongole,
quattro aragoste, scampo e sardine.
La
salsina per la zuppa la prepara mia madre, a noi ragazze dalla vista lunga ci
tocca pulire il pesce e togliere tutte le spine; la cugina Bonina e la sua
nuora marocchina, Saadia, incocciano la semola, l’occhio esperto della zà Rosa
controlla.
Gli
uomini sono tutti fuori, chi a lavorare, chi al bar, chi a giocare a carte, chi
a perdere tempo, a tampasiare.
L’aglio
che Fifidda pesta con forza nel mortaio emana un odore pungente che mi fa starnutire.
“La figghia mia! Che fai ti arrifriddi proprio ora?”, mia madre ha sempre una
preoccupazione inutile. Il profumo dell’alloro e della cannella che si
sprigiona dall’acqua messa a bollire ha saturato l’aria della cucina; il rumore
delle voci tende ad aumentare insieme con lallegria e l’eccitazione. Non sono
la prima che si sposa, ma il matrimonio nel nostro paese è ancora una buona
nuovo, un evento da festeggiare.
Fifidda
è arrabbiata, il suo amante è sparito nel nulla e lei che ha lasciato il marito
molti anni fa, ora è arraggiata e sola, se n’è pentita. A me non succederà,
penso, a Gaetano ci piaccio troppo. Ma non glielo dico, non sarebbe giusto.
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