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24 maggio 2018

da “L'assaggiatrice” - Giuseppina Torregrossa

da “L'assaggiatrice” - Giuseppina Torregrossa
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Domani mi sposo. E’ usanza che il giorno prima del matrimonio tutte le donne della mia famiglia si riuniscano per dare consigli alla sposa, fare gli auguri, portare regali, riallacciare le fila di affetti antichi. E insegnare quel poco di sesso appreso nel corso della loro vita, ché prima non se ne può parlare. Tutte insieme ci raccontiamo le cose e nel mentre incocciamo il cous cous, un piatto che richiede molta fatica, lunga preparazione, occhi attenti di gente giovane e mani anziane, esperte nel mescolare gli ingredienti. A poco a poco che le femmine arrivano, si trovano una collocazione e cominciano a lavorare. La zia Rosa è la più vecchia, perciò sta assittata, ché non Può gettare un passo, e ci controlla a tutte facendo finta di essere sorda quando non le conviene sentire.
Fifidda è arrivata presto, scura scura che pare venuta per piangere un morto, ha portato lei la semola. Mia madre l’ha rimproverata subito: “Fifì, dove sei stata? Ancilluzza si deve sposare, non ti vediamo da una simana e ci hai pure la faccia di una nisciutaq salla sepoltura”
Fifidda non rispose, si toglie la giacca, posa le collane sulla credenza, si spoglia davanti a tutti. “Fifidda!”, la voce di mia mamma irritata e vergognosa sottolinea la sfrontatezza di mia sorella; lei si mette una vesta lunga, bianca, si lava le mani e comincia con rabbia a pestare l’aglio. Chissà a chi le deve dare tutte quelle legnate.
Mio padre ormai è malato da tempo e non va più a pescare. La sua pensione basta a malapena a mantenere la famiglia, ma mia madre riesce sempre a pagare tutto e a fine mese non ha debiti. Lu zù Nino, vecchio amico di famiglia, a modo suo mi ha fatto il regalo di nozze: questa mattina presto ha portato due cassette di pesce piccolo, un poco di trigliette, tre bacinelle piene di cozze e vongole, quattro aragoste, scampo e sardine.
La salsina per la zuppa la prepara mia madre, a noi ragazze dalla vista lunga ci tocca pulire il pesce e togliere tutte le spine; la cugina Bonina e la sua nuora marocchina, Saadia, incocciano la semola, l’occhio esperto della zà Rosa controlla.
Gli uomini sono tutti fuori, chi a lavorare, chi al bar, chi a giocare a carte, chi a perdere tempo, a tampasiare.
L’aglio che Fifidda pesta con forza nel mortaio emana un odore pungente che mi fa starnutire. “La figghia mia! Che fai ti arrifriddi proprio ora?”, mia madre ha sempre una preoccupazione inutile. Il profumo dell’alloro e della cannella che si sprigiona dall’acqua messa a bollire ha saturato l’aria della cucina; il rumore delle voci tende ad aumentare insieme con lallegria e l’eccitazione. Non sono la prima che si sposa, ma il matrimonio nel nostro paese è ancora una buona nuovo, un evento da festeggiare.
Fifidda è arrabbiata, il suo amante è sparito nel nulla e lei che ha lasciato il marito molti anni fa, ora è arraggiata e sola, se n’è pentita. A me non succederà, penso, a Gaetano ci piaccio troppo. Ma non glielo dico, non sarebbe giusto.
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