Vincent van Gogh - Vase with Cornflowers and Poppies
da Il libro dell’inquietudine –
Fernando Pessoa
176.
Siamo la
morte. Ciò che consideriamo vita, è il sonno della vita reale, la morte di
quello che siamo davvero. I morti nascono, non muoiono. Per noi, i mondi sono
al contrario. Quando pensiamo di vivere, siamo morti: viviamo quando siamo
moribondi. La relazione che esiste fra il sonno e la vita è la stessa che c’è
tra ciò che chiamiamo vita e ciò che chiamiamo morte. Stiamo dormendo, e questa
vita è un sogno, non in senso metaforico o poetico, ma in senso reale. Tutto
quello che nelle nostre attività consideriamo superiore, è partecipe della
morte, è morte. Cosa è l’ideale se non la confessione che la vita non serve?
Cosa è l’arte se non la negazione della vita? Una statua è un corpo morto,
scolpito per fissare la morte in materia incorruttibile. Il piacere stesso che
sembra tanto un’immersione nella vita, è piuttosto un’immersione in noi stessi,
una distruzione delle relazioni tra noi e la vita, una agitata ombra della
morte. Lo stesso vivere è morire, perché non abbiamo un giorno in più nella
nostra vita tale da non avere, perciò, un giorno in meno. Popoliamo sogni,
siamo ombre erranti in foreste impossibili, dove gli alberi sono case, costumi,
idee, ideali e filosofie. Non trovare mai Dio, non sapere mai neppure se Dio
esiste! Passare da un mondo all’altro, da incarnazione a incarnazione, sempre
nell’illusione che ci alletta; sempre nell’errore che ci accarezza. La verità,
mai, la sosta, mai! L’unione con Dio, mai! Mai completamente in pace, ma sempre
un po’ di essa, sempre il suo desiderio!
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