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22 maggio 2018

da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa

Vincent van Gogh - Vase with Cornflowers and Poppies
da Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa
176.

Siamo la morte. Ciò che consideriamo vita, è il sonno della vita reale, la morte di quello che siamo davvero. I morti nascono, non muoiono. Per noi, i mondi sono al contrario. Quando pensiamo di vivere, siamo morti: viviamo quando siamo moribondi. La relazione che esiste fra il sonno e la vita è la stessa che c’è tra ciò che chiamiamo vita e ciò che chiamiamo morte. Stiamo dormendo, e questa vita è un sogno, non in senso metaforico o poetico, ma in senso reale. Tutto quello che nelle nostre attività consideriamo superiore, è partecipe della morte, è morte. Cosa è l’ideale se non la confessione che la vita non serve? Cosa è l’arte se non la negazione della vita? Una statua è un corpo morto, scolpito per fissare la morte in materia incorruttibile. Il piacere stesso che sembra tanto un’immersione nella vita, è piuttosto un’immersione in noi stessi, una distruzione delle relazioni tra noi e la vita, una agitata ombra della morte. Lo stesso vivere è morire, perché non abbiamo un giorno in più nella nostra vita tale da non avere, perciò, un giorno in meno. Popoliamo sogni, siamo ombre erranti in foreste impossibili, dove gli alberi sono case, costumi, idee, ideali e filosofie. Non trovare mai Dio, non sapere mai neppure se Dio esiste! Passare da un mondo all’altro, da incarnazione a incarnazione, sempre nell’illusione che ci alletta; sempre nell’errore che ci accarezza. La verità, mai, la sosta, mai! L’unione con Dio, mai! Mai completamente in pace, ma sempre un po’ di essa, sempre il suo desiderio!

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